La disciplina nel vecchio Codice – Nel D.Lgs. 163/2006 la fattispecie dell’appalto con corrispettivo costituito, in tutto o in parte, dal trasferimento della proprietà di beni immobili era disciplinata dai commi 6 e segg. dell’art. 53.

Condizioni per l’applicabilità dell’istituto all’appalto di lavori era che i beni da trasferire fossero inclusi nel programma triennale e non assolvessero più a funzioni di interesse pubblico.

Erano previste due diverse ipotesi:

-che l’offerente avesse interesse a conseguire la proprietà dell’immobile, e in tal caso l’offerta doveva prevedere il prezzo offerto per l’immobile e l’eventuale differenziale di prezzo per l’esecuzione del contratto;

-che l’offerente non avesse interesse all’acquisto dell’immobile, e in tal caso l’offerta consisteva unicamente nel prezzo richiesto per l’esecuzione dei lavori.

Se però l’amministrazione non aveva previsto stanziamento di fondi quali corrispettivo dell’appalto, a parte l’immobile, il bando doveva precisare che ove non fossero state presentate offerte per l’acquisto del bene, la gara sarebbe stata dichiarata deserta.

Infine, il comma 7 prescriveva che il trasferimento dell’immobile potesse avvenire solo dopo l’approvazione del certificato di collaudo, e quindi con un contratto distinto e separato dal contratto di appalto, anche se l’immissione nel possesso poteva avvenire anche in un momento antecedente.

La disciplina codicistica era completata dal Regolamento, d.p.r. n. 207/2010, agli artt.111 e 112.

La prima delle due norme citate precisava anzitutto che le buste contenenti le offerte dovessero specificare, a pena di esclusione, a quale delle due ipotesi previste dall’art. 53 l’offerta si riferisse (comma 1), e poi chiariva che nel caso le offerte pervenute avessero riguardato “l’acquisizione del bene congiuntamente all’esecuzione dei lavori ovvero esclusivamente l’esecuzione dei lavori, la vendita del bene e l’appalto dei lavori venivano aggiudicati alla migliore offerta congiunta”.

L’art.112, infine, disponeva che il valore del bene da trasferire fosse stabilito dal responsabile del procedimento sulla base del valore di mercato stabilito tramite gli uffici titolari del bene stesso.

Quanto alla ricostruzione giuridica dell’istituto, è da ritenersi che la fattispecie si perfezionasse con la conclusione di due distinti negozi, un contratto di appalto pubblico e un contratto di compravendita, ciascuno autonomo e con propria autonoma causa tipica. Tuttavia, mentre nel normale contratto di appalto il corrispettivo dell’esecuzione dell’opera consiste tipicamente in una somma di denaro ai sensi dell’art. 1655 c.c., in questo caso il corrispettivo è costituito dal trasferimento dell’immobile, cioè dal contratto di compravendita. I due contratti, quindi, se da un lato sono autonomi e, come osservato, vengono anche stipulati in momenti diversi- quello d’appalto dopo la gara, quello di trasferimento immobiliare solo dopo l’approvazione del collaudo- sono però anche legati tra loro, rappresentando una tipica ipotesi di collegamento negoziale. Il collegamento negoziale, che non ha disciplina positiva ed quindi il frutto di ricostruzioni dottrinarie e giurisprudenziali, si ha appunto quando due o più contratti, autonomi e separati tra loro, sono tuttavia volti a realizzare un interesse comune: sostanzialmente le parti pongono in essere una pluralità di fattispecie negoziali, ma per la realizzazione di una finalità economicamente unitaria. Accanto alla causa tipica dei singoli contratti, v’è anche una causa ulteriore, che trascende quelle dei singoli negozi, per realizzare la quale i distinti contratti vengono stipulati.

L’ANAC (Pareri sulla normativa 3 maggio 2012, AG 39-11 e 11 marzo 2010, AG 1-10), con riferimento alla tematica dei negozi collegati, ha affermato che: “Le più recenti acquisizioni di dottrina e giurisprudenza – valorizzando le teorie della causa in concreto e della rilevanza dell’operazione economica sottostante – hanno indirizzato le proprie analisi verso una prospettiva ermeneutica idonea a superare la visione del codice civile, che è limitata alla disciplina di singoli atti. Operazioni contrattuali di siffatto genere sono ammesse dall’ordinamento, in tanto in quanto perseguano interessi meritevoli di tutela, con alcune avvertenze. Da un lato, si precisa che il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma integra una fattispecie complessa che si compone di una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano causa autonoma, ancorché siano finalizzati all’unitario assetto di reciproci interessi. Dall’altro, che con questa operazione prende vita una clausola atipica, espressa o anche tacita, in forza della quale i contratti sono tra loro interdipendenti, di tal ché talune vicende dell’uno si estendono a quelle dell’altro (cfr., per tutti, Galgano, Trattato di diritto civile, II, Cedam, 2009, p. 216 ss.; Cassazione civile III, 18884 del 10 luglio 2008)” (AVCP, Parere sulla normativa 11 marzo 2010, AG 1-10).

Tale ricostruzione giuridica trova conforto anche nell’art. 53, co. 7 del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui il trasferimento della proprietà dell’immobile può essere disposto solo dopo l’approvazione del certificato di collaudo, con espressione che impone la stipulazione di un atto ulteriore e distinto successivo alla realizzazione dell’opera”.

Sull’istituto dell’appalto con corrispettivo costituito da trasferimento di un immobile, è interessante la sentenza del TAR delle Marche, sez. I, n. 00148/2016, pronunciata a seguito di un ricorso presentato da un Comitato cittadino contro il Comune di Tolentino.

Era successo che a seguito dell’espletamento della gara il valore del bene da trasferire era risultato maggiore del prezzo richiesto per l’esecuzione dei lavori, con la conseguenza che l’aggiudicatario, appaltatore dei lavori ed acquirente dell’immobile, non solo non avrebbe ricevuto alcun corrispettivo in denaro per l’esecuzione dell’opera, ma avrebbe dovuto anche corrispondere all’amministrazione una somma di denaro per acquistare il bene.

Con il ricorso al TAR la parte ricorrente deduceva la violazione dell’art. 53 comma 6 del D.Lgs. n. 163/2006 in quanto tale norma “non ammette la possibilità di cedere all’appaltatore, in corrispettivo del contratto, un bene immobile di valore superiore ai lavori da eseguire, poiché darebbe luogo ad una illegittima obbligazione di pagamento nei confronti della stazione appaltante non assistita da procedura autonoma.”

La censura è stata tuttavia ritenuta infondata dal TAR marchigiano, il quale anzitutto ha “osservato che il citato art. 53 comma 6, per quanto non contempli espressamente tale possibilità, neppure la vieta, limitandosi a consentire la sostituzione “totale” del corrispettivo contrattuale attraverso il trasferimento di beni.

Non emergono inoltre ragioni logiche per escludere un eventuale conguaglio in danaro anche in favore dell’amministrazione, quando tale conguaglio è comunque previsto in favore dell’appaltatore nel caso di beni con valore inferiore al corrispettivo di contratto.

Del resto il successivo comma 8 lett. a) prevede la possibilità di offerta disgiunta, che contempla sia il prezzo offerto per l’acquisto dell’immobile che il prezzo richiesto per l’esecuzione del contratto (la cui differenza impone ovviamente un conguaglio).

Per principio generale in materia di contabilità pubblica, le alienazioni vengono aggiudicate al prezzo più alto (poiché comportano un’entrata per le casse pubbliche), al contrario di lavori, servizi e forniture (che comportano invece una spesa).

Appare quindi evidente che può ricorrere la fattispecie in cui, per effetto del rialzo sul prezzo base di acquisto e del ribasso sul prezzo base di esecuzione dei lavori, emerga un differenziale in favore della stazione appaltante che, per obiettive ragioni di efficienza, efficacia e celerità dell’azione amministrativa, non può determinare l’abbandono del procedimento solo perché si creerebbe un’obbligazione pecuniaria a carico dell’appaltatore.”

La disciplina nel nuovo Codice – L’istituto in esame è disciplinato anche dal D.Lgs. n. 50/2016, invero in modo piuttosto scarno.

L’art. 191 si limita a stabilire che il bando di gara può prevedere a titolo di corrispettivo, totale o parziale, il trasferimento all’affidatario della proprietà di beni immobili dell’amministrazione. E’ confermata la necessità che i beni oggetto di trasferimento siano indicati nel programma triennale, mentre una novità è costituita dalla possibilità che il trasferimento dell’immobile avvenga a favore di un terzo soggetto indicato dall’aggiudicatario, a condizione che quest’ultimo vi abbia interesse. Si tratta di una ipotesi di contratto a favore di terzo, istituto disciplinato dall’art. 1411 c.c.

Un’altra novità del nuovo codice è quella contenuta nel terzo comma dell’art. 191 che prevede la possibilità che il trasferimento della proprietà dell’immobile e la conseguente immissione nel possesso avvengano in un momento anteriore a quello dell’ultimazione dei lavori, a condizione che venga presentata un’idonea garanzia fideiussoria di valore pari al valore dell’immobile.

Nulla è detto in ordine alla possibilità per l’offerente di presentare offerta per la sola esecuzione dei lavori e non per l’acquisto del bene, e nulla di conseguenza sull’aggiudicazione, congiunta o meno.

Si deve pertanto ritenere che la relativa disciplina sia rimessa al bando di gara e che sia in tale sede a doversi prevedere la possibilità o meno di presentare offerta anche solo per l’esecuzione dei lavori, ovvero la previsione che la gara venga dichiarata deserta nel caso nessuna offerta venga presentata per l’acquisto dell’immobile, o, ancora, la possibilità che l’offerta per l’acquisto del bene sia superiore a quella per l’esecuzione dei lavori con conseguente conguaglio a favore dell’amministrazione.


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