Il trattamento agevolativo a favore degli immobili storici o artistici non può essere riconosciuto ad un immobile per il fatto che quest’ultimo insista su un’area che, da sola, sarebbe sottoposta a vincolo archeologico. Il fabbricato va visto nella propria autonomia, per cui ad esso non possono estendersi i benefici fiscali propri dell’area sottostante.
Cass. civ., Sez. V, Sent. n. 19226 del 7.11.2012.
Commento – La disciplina dell’ICI contempla una specifica agevolazione nell’art. 2, comma 5, del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in Legge 24 marzo 1993, n. 75, per gli immobili qualificati d’interesse storico-artistico.
La “ratio” del beneficio trova giustificazione nella opportunità di mitigare l’impatto economico del tributo in ragione delle ingenti spese necessarie per conservare in buono stato gli immobili stessi.
Per tale motivo, l’agevolazione è applicabile esclusivamente agli immobili sottoposti al vincolo diretto di cui all’art. 3 della Legge 1° giugno 1939, n. 1089, richiamato dall’art. 2, comma 5, cit., e, trattandosi di norma di stretta interpretazione, non può essere estesa a quelli sottoposti al vincolo indiretto di cui all’ art. 21 della medesima legge, apposto a salvaguardia di altri beni.
Ne deriva che non può fruire dell’agevolazione suddetta l’unità immobiliare non vincolata, seppure compresa in un fabbricato che sorge su un’area sottoposta a vincolo archeologico a norma dell’art. 3 della Legge n. 1089 del 1939 (per l’esistenza nel sottosuolo di vestigia di un antico insediamento).
Svolgimento del processo
1. Il Comune di Ferrara propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello di D.T.R., è stata affermata l’illegittimità dell’avviso di liquidazione dell’ICI notificato alla contribuente per l’anno 2004.
Il giudice d’appello, premesso che il fabbricato in cui si trova l’appartamento di proprietà della contribuente è stato costruito su un’area sottoposta a vincolo archeologico ai sensi della L. n. 1089 del 1939, ha ritenuto che la D.T., con l’acquisto dell’immobile, è divenuta proprietaria anche di una quota millesimale di tale terreno e, pertanto, poichè il bene va considerato unitariamente e comprende una quota ideale vincolata, deve essere applicato il regime agevolativo previsto, per l’ICI, dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, (conv. in L. n. 75 del 1993).
2. La contribuente resiste con controricorso.
3. Il Comune ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso, formulata dal ricorrente in memoria, poichè la nullità della notificazione dell’atto, effettuata al difensore non domiciliatario in data 15 ottobre 2007 (con consegna il 22 ottobre a persona al servizio del destinatario), è stata sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo il ricorrente replicato al contenuto dell’atto con la detta memoria, così dimostrando di averne avuto piena conoscenza (Cass. n. 6152 del 2005).
2. Con i quattro motivi di ricorso, il Comune, denunciando violazione della L. n. 1089 del 1939, artt. 1, 2 e 3 (applicabile ratione temporis), del decreto del Ministro per i beni culturali del 30 ottobre 1992, del D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, (convertito dalla L. n. 75 del 1993) (anch’esso applicabile ratione temporis), nonchè vizio di motivazione, pone la questione se il proprietario di una unità immobiliare (appartamento) compresa in un fabbricato costruito su un’area già sottoposta – essa sola – a vincolo archeologico a norma della L. n. 1089 del 1939, art. 3 (in ragione della esistenza nel sottosuolo di vestigia di un antico insediamento) possa fruire dell’agevolazione prevista dal D.L. n. 16 del 1993, citato art. 2, comma 5, in virtù del quale “per gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3, e successive modificazioni, la base imponibile, ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), è costituita dal valore che risulta applicando alla rendita catastale, determinata mediante l’applicazione della tariffa d’estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato, i moltiplicatori di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 2”.
La risposta deve essere negativa.
Il beneficio fiscale in esame concerne, come si evince dalla lettera della legge (analoga a quella di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, in tema di imposte sui redditi), esclusivamente i “fabbricati” di interesse storico o artistico, oggetto di vincolo diretto ai sensi della L. n. 1089 del 1939 (Cass. n. 25703 del 2008), e trova la sua ratto nel contemperare l’entità del tributo con i gravosi oneri di manutenzione e conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli edifici medesimi (Cass., Sez. un., n. 5518 del 2011, nonchè Cass. nn. 25703 del 2008, cit, e 11704 del 2010).
Inoltre, va ribadito che oggetto di imposizione ai fini ICI sono, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, tre categorie di immobili (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli), autonome e distinte, con la conseguenza che il criterio di tassazione di un immobile dipende dal suo inquadramento in una delle tre tipologie anzidette, la cui individuazione preclude la configurabilità delle altre (cfr. Cass. n. 6501 del 2005, in mot.). In particolare, è previsto (art. 2, comma 1, lett. a, cit.) che l’area occupata dalla costruzione – al pari di quelle pertinenziali – va considerata, una volta ultimati i lavori di costruzione, o comunque utilizzato il fabbricato, “parte integrante del fabbricato”, dovendosi con ciò intendere che il valore della base imponibile ai fini ICI si trasferisce dall’area alla costruzione realizzata e la prima perde la sua autonoma tassabilità (Cass. n. 22808 del 2006).
A ciò va aggiunto, in ordine alla fattispecie in esame, che, ai sensi dell’art. 826 cod. civ., “le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico …..
ritrovate nel sottosuolo” appartengono allo Stato.
In conclusione, in base alle esposte considerazioni – alla stregua delle quali diviene irrilevante, ai fini che qui interessano, la circostanza, evidenziata dal giudice a quo ed in sè civilisticamente corretta, secondo la quale la contribuente, nell’acquistare l’unità immobiliare, è divenuta proprietaria anche di una quota ideale (millesimale) del suolo e del sottosuolo -, deve ritenersi che non sussistano i presupposti per la fruizione del beneficio in questione.
3. Pertanto, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.
4. Mentre sussistono giusti motivi, anche in considerazione dell’alternanza degli esiti dei giudizi, per disporre la compensazione delle spese dei gradi di merito, le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna la controricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1000,00 per onorari, oltre Euro 100,00 per esborsi, e oltre spese generali ed accessori di legge.