Il termine “fatturato” non può essere equiparato alla nozione di “valore della produzione” di cui all’art. 2425, lett. A), del codice civile, né al “volume d’affari ai fini dell’IVA” di cui all’art. 20 del DPR n. 633/1972

Corte dei conti, sezione controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 54 del 28 marzo 2017, relatore Romano, Presidente Greco

A margine

La richiesta di parere verte sull’esatto significato da attribuire al termine “fatturato” di cui all’art. 20, comma 2, lett. d), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, che prevede l’adozione di misure di razionalizzazione per le “partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro” (1).

Il Comune istante sottolinea la diversità dei valori finali di calcolo cui si preverrebbe se, al termine, venisse attribuito:

a) il significato di “volume d’affari” desumibile dalla dichiarazione annuale IVA, di “ricavo da vendite” (voce A.1 del conto economico), oppure

b) il significato di “valore della produzione” di cui al punto A) dell’art. 2425 del codice civile.

Qualora si utilizzasse la prima opzione, la società patrimoniale posseduta dal comune, verrebbe collocata al di sotto della soglia di un milione di euro medio nel triennio, diversamente da quanto accadrebbe ove si attribuisse al termine il significato di “valore della produzione”.

La questione portata all’attenzione dei giudici contabili assume pertanto rilievo ai fini dell’inclusione di una partecipazione al di sotto della soglia dimensionale che impone l’intervento di razionalizzazione.

La Corte, pur prendendo atto che la relazione sull’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR), che ha accompagnato lo schema di decreto, faccia riferimento, quale parametro tecnico, esclusivamente alla nozione di “valore della produzione”, ricostruisce il vigente quadro normativo in cui il legislatore ha fatto uso del termine “fatturato”.

La sezione giunge quindi ad affermare che il termine “fatturato” utilizzato nell’art. 20 del t.u. n. 175/2016 va inteso quale ammontare complessivo dei ricavi da vendite e da prestazioni di servizio realizzati nell’esercizio, integrati degli altri ricavi e proventi conseguiti e al netto delle relative rettifiche (ovvero alla grandezza risultante dai dati considerati nei nn. 1 e 5 della lettera A dell’art. 2425 cod. civ. che, in contrapposizione ai costi dell’attività tipica – costi di produzione, spese commerciali, amministrative e generali – consente di determinare il risultato della “gestione caratteristica” dell’impresa).

Tale nozione è, infatti, quella che meglio corrisponde alle finalità perseguite dal legislatore con la norma in esame, il cui evidente obiettivo è quello di indurre le pubbliche amministrazioni a dismettere o, comunque, a superare, attraverso la predisposizione di appositi piani di razionalizzazione, le partecipazioni in società di ridotte dimensioni economiche.

Stefania Fabris

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(1) Ndr: sul punto, giova ricordare che l’art. 26 del d.lgs n. 175/2016, dopo le modifiche da parte del d.lgs n. 100/2017, prevede, al comma 12-quinquies, che “Ai fini dell’applicazione del criterio di cui all’articolo 20, comma 2, lettera d), il primo triennio rilevante è il triennio 2017-2019. Nelle more della prima applicazione del suddetto criterio relativo al triennio 2017-2019, si applica la soglia di fatturato medio non superiore a cinquecentomila euro per il triennio precedente l’entrata in vigore del presente decreto ai fini dell’adozione dei piani di revisione straordinaria di cui all’articolo 24 e per i trienni 2015-2017 e 2016-2018 ai fini dell’adozione dei piani di razionalizzazione di cui all’articolo 20”.


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