L’individuazione di limiti minimi del compenso dei componenti dell’organo di revisione degli enti locali non compete alla Corte dei conti nell’esercizio della funzione consultiva di cui all’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131.

Corte dei conti, sezione per le Autonomie, deliberazione n. 16 del 13 giugno 2017 – presidente De Girolamo, relatore Tonolo

A margine

La Corte dei conti ha finalmente risolto la questione del limite “minimo” al compenso dell’incarico di componente del collegio dei revisori degli enti locali.

A fronte dell’incertezza interpretativa sollevata dalle sezioni regionali, occorreva chiarire se fosse o meno necessario fissare un limite minimo al compenso, a garanzia dell’indipendenza e della professionalità dei revisori, e se fosse possibile individuare tale limite nell’importo corrispondente al tetto massimo indicato dal DM 20/05/2005 per i Comuni appartenenti alla fascia demografica inferiore a quella di riferimento.

Nell’esaminare la problematica, la sezione per le Autonomie ha sottolineato come la peculiarità ed i contenuti dei compiti affidati ai revisori richiedano una elevata professionalità ed impongano garanzie di imparzialità e indipendenza a tutela dell’interesse ad una sana e corretta gestione degli enti pubblici.

Nello specifico, l’importanza delle funzioni cui sono chiamati i componenti dell’organo giustifica l’onerosità dell’incarico, come si deduce dall’art. 241 TUEL e dalla circolare del Mef n. 33/2011, secondo cui la natura contrattuale del rapporto tra l’ente ed i revisori “mal si concilia con la gratuità dell’incarico in quanto l’attività svolta dai predetti revisori e sindaci di natura prettamente tecnica è una prestazione d’opera a cui normalmente corrisponde una prestazione economica”.

Del resto, la medesima sezione per le Autonomie, con la deliberazione n. 11/2016/QMIG, aveva già riconosciuto, sotto un diverso profilo, l’onerosità delle prestazioni dei componenti dell’organo di revisione fissando, in forza di un’interpretazione sistematica dell’art.  35, co. 2-bis del d.l. n. 5/2012 una eccezione, valida per i soli revisori, al principio di tendenziale gratuità di tutti gli incarichi conferiti ai titolari di cariche elettive.

Per quanto riguarda la fissazione di un “limite minimo” all’entità del compenso, la Corte rileva come l’art. 241 del TUEL ne fissi i limiti massimi  in ragione della classe demografica di appartenenza dell’ente locale, delle spese di funzionamento e di investimento dello stesso ente, consentendo aumenti del corrispettivo solo in caso di assegnazione di ulteriori funzioni rispetto a quelle indicate nell’art. 239 Tuel e qualora l’incarico si svolga nei confronti di altre istituzioni dell’ente.

Proprio con queste disposizioni il legislatore ha inteso riconoscere non solo un adeguato corrispettivo per lo svolgimento delle funzioni di revisione, ma anche perseguire finalità di contenimento delle spese negli enti locali (attraverso: a] la predeterminazione del tetto massimo del compenso base sulla scorta di criteri oggettivi, b] la previsione di eventuali incrementi solo in ragione di una estensione dell’incarico e c] la limitazione percentuale dei rimborsi per spese di viaggio e altro).

A questo si aggiunga che la disposizione contenuta nell’art 241, co. 7, secondo cui “l’ente locale stabilisce il compenso spettante ai revisori con la stessa delibera di nomina” è volta proprio ad evitare che, in corso di rapporto, si possano verificare variazioni incrementali con maggiori oneri per le amministrazioni locali.

In questo quadro, osserva la Sezione, la sussistenza di specifiche indicazioni normative circa le modalità di predeterminazione dei compensi e dei rimborsi, non intacca la natura convenzionale del rapporto tra il revisore e la Pubblica amministrazione; né le nuove modalità di scelta dell’organismo, attraverso l’estrazione a sorte di cui al d.l. n. 138/2011, incidono sull’assetto privatistico del rapporto, trovando la propria ratio nella necessità di garantire la professionalità e l’indipendenza dei prescelti.

Risulta pertanto palese che il legislatore non ha voluto stabilire un tetto minimo al compenso dei revisori, privilegiando, da un lato, l’interesse dell’ente ad una prestazione qualificata, garantita dalle modalità di scelta dell’incarico e, dall’altro, quello al contenimento della spesa pubblica mediante limiti massimi al corrispettivo.

Per contro, l’interesse dei revisori ad evitare un vulnus alla propria professionalità, derivante da remunerazioni troppo contenute, trova tutela proprio nelle norme di carattere generale che stabiliscono criteri e principi di adeguatezza applicabili alla fattispecie in esame, a cui l’ente deve attenersi (tra cui ad es. nell’art. 2233, co. 2, CC)

Ne consegue che i limiti minimi del compenso dei revisori possono essere determinati esclusivamente per via normativa in quanto l’interprete non può sostituirsi al legislatore al fine di colmare le lacune dell’ordinamento, ma deve privilegiare interpretazioni aderenti al tenore letterale e alla ratio delle norme individuando la natura dei rapporti che soggiacciono ad esse ed evitando soluzioni ermeneutiche derogatorie o additive.

Va pertanto esclusa la possibilità, per la Sezione delle autonomie e per le Sezioni regionali di controllo, di fissare, in via interpretativa, i limiti minimi per il compenso dei componenti dell’organo di revisione economico-finanziaria.

La determinazione del compenso, sulla base dei criteri generali e dei parametri indicati all’art. 241, comma 1, del TUEL, dovrà pertanto trovare adeguata motivazione unicamente nel provvedimento consiliare di nomina dei revisori.

Stefania Fabris

 


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