Efsa emana il parere relativo all’applicazione del sistema HACCP nei piccoli rivenditori di alimenti.

Da quando è nato, negli anni 60, l’HACCP ha subito diverse modifiche sia nella struttura vera e propria del metodo (i principi che da 3 sono diventati 7 e potrebbero aumentare) fino alle metodologie di applicazione. Il metodo HACCP infatti trova spazio all’interno del sistema della gestione dei rischi alimentari.

Secondo l’attuale legislazione europea sull’igiene degli alimenti, le imprese del settore hanno l’obbligo di sviluppare e attuare sistemi di gestione della sicurezza alimentare (SGSA), sviluppando i prerequisiti (PRP) e le attività di analisi dei rischi e dei punti critici di controllo.

Tale aspetto però può essere molto impegnativo e dispendioso per le piccole imprese, dove la mancanza di competenze e di altre risorse può limitare lo sviluppo e l’implementazione di SGSA efficaci.

In questo contesto l’Efsa ha emanato, su richiesta della Commissione Europea un parere scientifico contenente un approccio semplificato di gestione del rischio per le piccole attività. Nello specifico la Commissione ha richiesto ad Efsa:

  1. la formulazione di linee guida su come identificare i rischi biologici più rilevanti e, se del caso, chimici (tra cui gli allergeni) e pericoli fisici all’interno dei cicli produttivi delle piccole attività;
  2. la fornitura di linee guida sulla metodologia per la classificazione della pericolosità (nella visione dell’ HACCP), e la scelta del metodo più appropriato per ogni tipo di attività di vendita al dettaglio;
  3. la fornitura di una guida su come selezionare, implementare e validare gli approcci più efficaci per controllare i pericoli identificati (considerando i punti di controllo critici (CCP), PRP, limiti critici e sistemi di monitoraggio);
  4. identificare e classificare i rischi in ciascuno dei cinque settori specifici richiesti (macellerie, negozi di alimentari, panetterie, gelaterie e negozi ittici) e descrivere attività di controllo appropriate per i pericoli identificati (compresi PRP, punti di controllo e CCP) e, se del caso, indicare limiti critici e sistemi di monitoraggio.

Il sistema presentato, come già paventato dal documento della Commissione Europea sullo sviluppo corretto del SGSA, è incentrato sull’applicazione dei prerequisiti (PRP). Non solo, se necessario, sono compresi anche i limiti critici, il monitoraggio e la conservazione dei documenti utili a raggiungere l’obiettivo ultimo, ovvero il food safety.

L’ Efsa, per sviluppare tale metodo, durante gli incontri di plenaria e nei gruppi di lavoro, ha utilizzato precedenti pareri Efsa sul tema dello sviluppo di una “tool box” per la valutazione del rischio.
Quest’ultimo strumento è stato unito agli studi e alle informazioni presenti in letteratura scientifica sulle buone prassi igieniche (GHP), sull’ HACCP e sui SGSA della Commissione Europea, sui documenti emanati dal Codex Alimentarius, dalla Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO), ecc.

All’ interno di questa base l’ Efsa è partita con l’analizzare i vincoli e le difficoltà di attuazione di un SGSA nelle piccole imprese, con particolare attenzione allo sviluppo dell’HACCP. I maggiori ostacoli individuati sono stati:

  • cultura della sicurezza alimentare e percezione dei rischi;
  • competenze del personale;
  • fatturato;
  • costi elevati di gestione;
  • tenuta documentazione e registri;
  • verifica dei SGSA e controllo dei fornitori.

È evidente che tutte le attività debbono rispettare il metodo HACCP, seppur con delle semplificazioni, poiché è grazie al from farm to fork che si riesce ad assicurare davvero la sicurezza alimentare.
Le semplificazioni nascono però dal fatto che se prendiamo come esempio una macelleria, che per errori a monte riceve delle carcasse contaminate da salmonella, il macellaio può intraprendere attività come il corretto raffreddamento, la pulizia, la conservazione di carne cruda separata da quella pronta per il consumo (RTE) o dalla carne cotta, per evitare ulteriori contaminazioni o l’ulteriore crescita microbica, ma non sarà in grado di effettuare azioni che vadano ad eliminare la salmonella dalla carne (come la cottura).

La sicurezza alimentare deve pertanto essere praticata in tutte le fasi della catena alimentare. L’indagine della letteratura è stato utilizzato anche per identificare e descrivere i pericoli fisici, biologici, e chimici. Una novità che va a confermare quanto fatto nelle prassi di valutazione, è l’inquadramento del rischio allergeni all’interno del rischio chimico e l’inserimento dell’allergene tra i parametri di rischio da valutare.

Dati i problemi per le piccole imprese sopra riportati, l’obiettivo era quello di descrivere e sviluppare una linea guida per un approccio di analisi dei rischi (identificazione dei pericoli, classificazione e opzioni di controllo) facile da capire ed applicare. Questo metodo seppur semplice deve comunque essere efficace. Diversamente da quanto fatto ad esempio dalla regione Lombardia nel DGR 1105/2013, sono stati utilizzati diagrammi di flusso, utili ad identificare i pericoli (così come previsto nel metodo HACCP vero e proprio).

Tuttavia, il nuovo approccio semplificato non richiede una descrizione dettagliata delle attività in ogni fase, piuttosto ha usato i diagrammi di flusso per guidare lo sviluppo di un ‘Sistema di Gestione della Sicurezza Alimentare per Piccoli Rivenditori Alimentari (SFR-FSMS)’ riportato in tabelle.
È proprio questo aspetto a rappresentare il nuovo approccio semplificato alla gestione della sicurezza alimentare per i piccoli rivenditori al dettaglio. Inoltre, si è ritenuto sufficiente per il rivenditore, viste le conoscenze medie degli OSA in questo settore, sapere che per evitare i rischi si devono rispettare le buone pratiche e i prerequisiti, senza necessariamente descrivere ogni pericolo specifico in dettaglio, ma rendendosi conto che un fallimento potrebbe portare ad un aumentato del rischio per la sicurezza del consumatore. In questo senso non è per forza necessario classificare ogni singolo rischio, ma si attua la prevenzione applicando i PRP.
Proprio i PRP trovano quindi spazio nella parte successiva del parere. Efsa ha individuato i PRP utili a controllare i pericoli che possono verificarsi in ogni fase individuata nei diagrammi di flusso.
Questi PRP inseriti sono gli stessi di quelli descritti nella comunicazione della Commissione Europea 2016/C 278/01, ma con l’inserimento di un ulteriore PRP ‘informazioni sui prodotti e la consapevolezza dei clienti’ (PRP 13). Tale concetto vuole abbracciare il REG UE 1169/2011 sulla corretta informazione del consumatore.
La maggior parte delle attività di PRP si basano su parametri qualitativi e non quantitativi e quindi sono valutate come ‘accettabile’ o ‘inaccettabile’. La pulizia, per esempio, può essere basata su ispezione visiva e non sulla ricerca di microrganismi. Altri PRP (ad esempio la cottura o raffreddamento) si basano invece su parametri quantitativi (ad esempio la temperatura) e la loro corretta applicazione può essere assicurata fissando limiti critici che devono essere raggiunti per garantire la sicurezza alimentare.
Inoltre si specifica che in questo approccio semplificato per i PRP qualitativi non è necessario tenere dei registri, mentre invece per quelli qualitativi, essendoci dei limiti critici, devono essere elaborate e conservate registrazioni per dimostrarne la conformità.
Infine nella parte finale del parere vi sono gli esempi specifici per le cinque attività prese in esame.

Tutto il parere lo si può trovare sul sito dell’Efsa al seguente link: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2017.4697/full


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