La valorizzazione del patrimonio immobiliare non può essere ridotta al mero perseguimento di benefici economici diretti per il Comune ma, al contrario, può essere integrata dal raggiungimento di finalità proprie dell’Ente altrettanto rilevanti, quali lo sviluppo economico e sociale del territorio e la lotta alla disoccupazione.
Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Molise, sentenza 31 gennaio 2017, n. 12, Presidente Michael Sciascia – Estensore Tommaso Miele
A margine
La gestione del patrimonio immobiliare da parte degli enti pubblici, ed in particolare dei Comuni, pone, oggigiorno, non pochi problemi.
A fronte di una tensione legislativa volta a razionalizzare e migliorare la gestione del patrimonio immobiliare pubblico, anche attraverso la dismissione dei beni non strettamente necessari o loro affidamento a terzi a titolo oneroso, non va tuttavia dimenticato come le finalità dell’Ente comunale siano, anzitutto, volte a conseguire un’utilità per la propria comunità, prima ancora di raggiungere un qualsivoglia vantaggio economico, sia esso in termini di maggiori entrare o minori spese.
E’ sulla scorta di tale ragionamento che la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Molise, ha mandato assolti – con la sentenza n. 12/2017 – il responsabile dell’area tecnica di un comune, il segretario comunale ed i consiglieri comunali che adottarono nel 2011 una deliberazione consiliare con la quale furono concessi in comodato d’uso gratuito per un periodo di tre anni ad una Cooperativa locale alcuni immobili di proprietà comunale.
Per la precisione tale comodato d’uso era stato disposto affinchè i beni concessi venissero utilizzati nell’ambito di un progetto di sviluppo locale volto, in sostanza, a recuperare e valorizzare una parte del territorio comunale, al fine di creare un polo di attrazione agricolo e turistico integrato, con valenza ambientale e di interesse regionale, per generare flussi di fruitori destinati al cd. “turismo rurale”.
Alla richiamata deliberazione consiliare faceva poi seguito una delibera di Giunta comunale con cui veniva approvato uno schema della convenzione da stipulare con la Cooperativa, e dato mandato al Responsabile dell’Area Tecnica di procedere alla sua sottoscrizione.
In linea con gli obiettivi prefissi ed auspicati dall’Amministrazione locale, la cooperativa riusciva a realizzare un’area camping attrezzata con docce, un bar, un ristorante con menù tipico, un’ampia zona pic-nic, nonché ad organizzare nelle diverse stagioni eventi sportivi e gastronomici.
Alla luce di siffatti rapporti, la competente Procura regionale ha tuttavia deciso di convenire in giudizio i soggetti sopra citati in quanto il carattere gratuito della concessione in comodato d’uso non risponderebbe affatto ai criteri di valorizzazione del patrimonio e, più in generale, di economicità ed efficienza imposti dalla legge, in quanto non solo non produrrebbe alcuna entrata per il Comune ma causerebbe un impoverimento dello stesso Ente, considerate le risorse pubbliche a suo tempo spese per l’area e le strutture oggetto di comodato. Ciò nonostante – sottolinea il Requirente – che “l’art. 58 del d.l. n. 112/2008 imponga ai comuni di individuare tutti gli immobili esistenti sul proprio territorio non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali al fine della loro valorizzazione o dismissione”.
A detta della Procura, infatti, il danno erariale patito dall’Ente equivarrebbe al possibile canone locativo annuo al quale il Comune proprietario poteva concedere l’uso degli immobili in questione, canone che viene stimato stimato dalla competente Agenzia del Demanio in euro 5.000,00.
Quanto, poi, all’imputabilità del danno in parola ai soggetti citati in giudizio ed, in particolare, ai consiglieri comunali, viene contestata la grave violazione delle più “fondamentali regole, di matrice comunitaria e costituzionale, che presidiano alla valorizzazione, gestione e affidamento all’esterno del patrimonio pubblico e alla concessione di vantaggi economici a terzi privati, la cui conoscenza e osservanza si impongono agli amministratori e funzionari pubblici quale impegno professionale minimo con cui debbono adempiere ai loro obblighi e doveri di servizio”.
Anzi, a detta della Procura lo stesso tenore della discussione che ha preceduto l’adozione della delibera consiliare mostrerebbe una chiara consapevolezza da parte dei presenti, atta ad escludere qualsivoglia buona fede, circa la realizzazione dell’illecito obiettivo di concedere gratuitamente l’uso degli immobili pubblici in questione direttamente ed esclusivamente alla cooperativa.
A fronte di siffatta pretesa risarcitoria, il Giudice adito ritiene non sussistere alcuna responsabilità amministrativa in capo ai convenuti per assenza dell’elemento oggettivo del danno patrimoniale per le finanze pubbliche.
Il Collegio giudicante evidenzia infatti come a detta di parte attrice il danno erariale sarebbe individuabile in quel canone (stimato a posteriori dall’Agenzia del Demanio) che era congruo esigere ed a cui l’Ente avrebbe così deliberatamente rinunciato.
Orbene, anche ad ammettere che il danno così individuato presenti quei connotati di attualità e concretezza richiesti per affermare una responsabilità amministrativa, la Corte ha finemente rilevato che, tuttavia, per effetto della concessione in comodato d’uso gratuito degli immobili comunali alla cooperativa, nonostante il mancato introito del corrispettivo che sarebbe spettato all’ente proprietario se fosse stato concesso a titolo oneroso, il Comune ha “comunque conseguito una corrispondente utilità, identificabile nella innegabile finalità sociale che, attraverso la concessione in comodato gratuito ad una cooperativa composta da giovani del posto, si è voluta, nel caso di specie, conseguire”.
Il Giudice molisano – lungi dall’appiattirsi su quello schema, spesso propugnato, secondo cui le finalità degli Enti pubblici dovrebbero sempre e comunque essere subordinate alla cura delle proprie finanze – afferma senza mezzi termini che, se è pur vero che il comune “ha perso l’opportunità” di conseguire il canone annuo di euro 5.000,00 che era congruo esigere, “è altrettanto vero che l’ente locale, attraverso la concessione mediante affidamento diretto degli immobili in questione ad una cooperativa di giovani locali ha voluto comunque conseguire, in un territorio caratterizzato da una forte depressione occupazione giovanile, una finalità di evidente valenza politica, economica e sociale, da identificare nell’aver dato occupazione ad alcuni giovani locali che, in tal modo, hanno potuto avviare una, seppur piccola, attività imprenditoriale.
Ed infatti il Collegio afferma, senza timore di smentite, che “allo stato della grave crisi economica che caratterizza il nostro Paese ormai da quasi dieci anni, anche lo sviluppo economico e sociale del territorio e la lotta all’occupazione, mediante l’agevolazione e il rilancio di insediamenti produttivi e commerciali, rientrino ormai fra gli obiettivi prioritari e le finalità istituzionali di un ente locale”.
Ecco che, allora, anche le eventuali irregolarità, e finanche le violazioni di legge ravvisabili nella concessione degli immobili in questione mediante l’affidamento diretto ad una cooperativa di giovani del posto, senza l’espletamento di una gara ad evidenza pubblica, vengono poste in secondo piano dal Collegio a fronte della innegabile utilità conseguita dalla comunità locale.
In conclusione, l’utilità sociale prefissa e conseguita dal comune induce la Corte ad affermare che , quand’anche l’Ente avesse subito un danno per effetto del mancato introito del corrispettivo che gli sarebbe spettato se gli immobili in questione fossero stati concessi a titolo oneroso, il danno in questione sarebbe comunque da ritenere compensato dalla suddetta utilità sociale conseguita dall’ente locale e, pertanto, viene così meno l’elemento oggettivo di un danno patrimoniale per le finanze del comune in relazione ai fatti esposti, con conseguente assoluzione di tutti gli imputati.