Gli acidi grassi sono i costituenti principali dei lipidi e dei grassi vegetali ed animali. Quando si parla di acidi grassi è bene distinguere tra grassi e olii preziosi utili al nostro organismo e grassi che invece ne ostacolano il corretto funzionamento. Inoltre, è importante specificare che questi acidi grassi si dividono in saturi, derivanti dai prodotti animali o in fonti vegetali come cocco e cacao, ed insaturi, a loro volta suddivisi in monoinsaturi, come l’olio d’oliva, e polinsaturi.
Gli acidi grassi insaturi sono molecole che contengono almeno un doppio legame ed in base alla struttura di questi doppi legami possono essere classificati in – cis oppure in – trans. Nella dieta, la maggior parte di grassi introdotti è di tipo – cis, anche se, esigenze legate ad un’alimentazione “fast” e l’introduzione sul mercato di prodotti già pronti al consumo, ha portato ad un aumento del consumo di alimenti ricchi di acidi grassi trans, c.d. TFA.
I TFA possono essere generati negli alimenti in tre modi diversi: per trasformazione batterica degli acidi insaturi durante la masticazione dei ruminanti, per idrogenazione o indurimento industriale di oli o per riscaldamento e frittura di oli ad elevate temperature.
L’industria alimentare, prima fra tutti la Procter&Gamble nel 1909, spinta dalla necessità di introdurre sul mercato prodotti che rispondessero a determinate caratteristiche e per dare maggiore consistenza a certi grassi, basandosi sulle scoperte di Sabatier, che idrogenò l’etilene a etanolo, ha introdotto processi quali appunto l’idrogenazione, ottenendo prodotti con un’elevata percentuale di grassi trans al loro interno.
Gli alimenti maggiormente incriminati sono la carne bovina, i formaggi stagionati, il pesce surgelato in panatura, ma anche margarine, dadi da brodo e preparati per minestre e tutta la categoria dei c.d. “junk food”, tra i quali primeggiano snack dolci e salatini e brioches.
Secondo le stime della Commissione europea, l’assunzione di TFA è un fattore di rischio determinante per l’insorgenza di cardiopatiche coronariche, le quali causano ogni anno circa 660.000 decessi nell’Unione Europea, ovvero circa il 14% della mortalità complessiva. Gli alimenti ricchi di acidi grassi trans influiscono negativamente sull’attività delle lipoproteine le quali sono adibite al trasporto dei grassi nel sangue, in quanto determinano una diminuzione dei livelli di HDL, c.d. colesterolo “buono, e determinano un accumulo di LDL ossidate, lipoproteine a bassa densità meglio conosciute come “colesterolo cattivo”, le quali portano alla formazione delle placche aterosclerotiche responsabili dell’aterosclerosi.
Inoltre, a livello cellulare, i TFA vanno ad inserirsi nel mosaico delle membrane cellulari determinando un irrigidimento della stessa, limitandone il potenziale di produzione energetica e la comunicazione con le altre cellule.
La relazione tra grassi trans e diabete, invece, non è del tutto chiara. Tuttavia, uno studio effettuato su più di 80.000 donne e pubblicato nel settembre del 2001 sul “The New England Journal of Medicine”, evidenziava come l’abituale consumo di grassi trans aumentasse del 40% il rischio di diabete.
Interessante risulta la posizione assunta dal Professor Lennert Veerman in “Dietary fats, health and inequalities”(2015), il quale sostiene il divieto totale di utilizzo degli acidi grassi come scelta migliore per salvaguardare la salute pubblica ed avvalora la sua tesi citando due importanti lavori che riguardano l’associazione tra consumo di grassi saturi e grassi trans con diversi outcome cardiovascolari e diabete di tipo 2, ed il consumo di acidi grassi trans e mortalità per malattica coronarica nei gruppi di popolazione più svantaggiati dal punto di vista economico.
Il 16 giugno 2015, la Food and Drug Administration (FDA) ha sancito che gli olii parzialmente idrogenati non sono più “generalmente riconosciuti come sicuri” per l’uso alimentare e pertanto saranno vietati a partire da giugno 2018.
In risposta alla FDA, il 26 ottobre 2016 a Strasburgo, con 586 voti favorevoli, 19 contrari e 38 astenuti, è stata approvata una risoluzione con la quale si chiede alla Commissione europea di presentare una proposta per introdurre un limite legale di acidi grassi trans nel cibo, che si stabilirebbe al 2% massimo per 100g di alimento, sulla linea di altri paesi europei che hanno già introdotto tali limitazioni. La Danimarca, per esempio, già nel 2003, ha stabilito un limite nazionale relativo al tenore di TFA negli oli e nei grassi mentre l’Austria, l’Ungheria e la Lettonia hanno introdotto tali misure negli anni successivi.
La Commissione europea ha inoltre evidenziato che solo un consumatore su tre ha conoscenza in materia di TFA e delle conseguenze che l’assunzione di questi grassi comporta il che dimostra come le misure di etichettatura non siano state del tutto efficaci. Infatti, dal 13 dicembre 2014 e secondo il Regolamento europeo sull’Informazione alimentare ai consumatori (Reg. CE 1169/2011), l’espressione “totalmente o parzialmente idrogenato” deve comparire in etichetta e risulta altresì obbligatorio specificare l’origine vegetale degli olii che compongono eventuali miscele di grassi vegetali.
Si noti per altro come questi alimenti siano consumati soprattutto da bambini, attirati dalle innumerevoli pubblicità e sicuramente noncuranti dell’etichettatura dei prodotti, e da persone con uno status socioeconomico inferiore visto il loro costo relativamente basso.
Una decisione, quella della Commissione Europea, che avrà importanti riscontri sia dal punto di vista economico e commerciale in quanto a tutti i produttori sarà imposto un adeguamento, ma soprattutto una decisione che, dal punto di vista sanitario, tenterà di tradursi in una diminuzione dell’incidenza di malattie cardiovascolari e di patologie quali diabete ed obesità.
Dott.sa Giulia Mattanza