Le norme che prevedono l’adesione obbligatoria degli ee.ll. agli enti di governo d’ambito per l’esercizio delle funzioni in materia di SPL a rete di rilevanza economica rispondono all’obiettivo di ricerca della dimensione ottimale dell’ambito territoriale entro il quale erogare il servizio per contenere i costi di gestione ed aprire i mercati. nonché al fine di promuovere processi di aggregazione dei medesimi servizi.

Corte costituzionale, sentenza n. 160 del 7 giugno 2016, presidente Grossi, redattore Cartabia

A margine

La Regione Veneto promuove questione di legittimità costituzionale contro l’art. 1, c. 609, della legge n. 190/2014, nella parte in cui, modificando l’art. 3 bis, c. 1 bis del D.l. n. 138/2011, impone la partecipazione obbligatoria degli ee.ll. agli enti di governo d’ambito, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, c. 90, della legge n. 56/2014, di riforma dell’assetto provinciale. 

In particolare, la Regione osserva che la disposizione censurata impone un modello di ente di governo che deve necessariamente includere tutti gli enti locali, non solo i Comuni e le Province, ma anche le Comunità montane e le Unioni di Comuni, per cui esulerebbe dalla competenza legislativa statale esclusiva in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», e violerebbe la competenza legislativa regionale residuale, in materia di forme associative degli enti locali.

La Regione sottolinea infine la sostanziale incompatibilità tra l’art. 1, c. 609, della legge n. 190/2014 che impone l’adesione obbligatoria degli ee.ll. agli enti d’ambito prevedendo, in caso di inadempimento, la specifica sanzione dell’esercizio del potere sostitutivo del presidente della Regione, e l’art. 1, c. 90, della legge n. 56/2014, che prevede che le funzioni di organizzazione dei servizi di rilevanza economica, di competenza comunale o provinciale, siano attribuite alle Province.

Il presidente del Consiglio dei ministri, costituito in giudizio, chiede il rigetto del ricorso affermando che la partecipazione obbligatoria agli enti di governo garantisce un’effettiva condivisione da parte degli enti locali delle scelte di organizzazione in materia di SPL, «per garantire uniformità al sistema». Diversamente, il modello organizzativo non obbligatorio delle “convenzioni tra ee.ll.” promosso dalla ricorrente, non potrebbe assurgere a unica formula organizzativa valida, potendo anzi risultare inadeguato.

La Corte costituzionale ricorda che la norma di cui all’art. 1, c. 609, della legge n. 190 del 2014, è concepita per promuovere processi di aggregazione e rafforzare la gestione dei SPL a rete di rilevanza economica, attraverso una pluralità di misure tra cui, oltre all’obbligo di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, anche l’attribuzione agli stessi enti di governo, del compito di predisporre la relazione sull’affidamento del servizio, prevedendo che le deliberazioni assunte dagli enti di governo sono valide senza necessità di ulteriori deliberazioni da parte degli enti locali partecipanti.

Ad avviso della Corte, la norma trova fondamento nelle competenze concorrrenti che l’art. 117 Cost., c. 3, attribuisce allo Stato, nell’ambito dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica con precipuo riguardo all’eventualità che i servizi in questione siano gestiti senza ricorrere al mercato al fine di conseguire dei risultati economici migliori e, quindi, contenere la spesa pubblica attraverso sistemi tendenzialmente virtuosi di esercizio delle funzioni.

Dall’altro lato, viene, altresì, in rilievo la competenza statale esclusiva della «tutela della concorrenza» (art. 117, c. 2, lettera e, Cost.), nella misura in cui i servizi pubblici economici possono essere esercitati tramite il ricorso al mercato per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul mercato, ivi compresa la disciplina degli ambiti territoriali ottimali e delle relative autorità di governo quando finalizzata a superare situazioni di frammentazione e a garantire la competitività e l’efficienza dei relativi mercati.

La disciplina in questione risponde pertanto all’obiettivo di ricerca della dimensione ottimale dell’ambito territoriale entro il quale erogare il servizio per contenere i costi di gestione ed aprire i mercati nonchè di promuovere processi di aggregazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.

Infine per quanto riguarda la lamentata violazione dell’autonomia amministrativa degli enti locali, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito che l’autonomia non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi della stessa per esigenze di razionalizzazione al fine di superare la frammentazione nella gestione (sentenza n. 246 del 2009).

Da ultimo, benchè il coordinamento tra la disposizione di cui all’art. 1, c. 609, della legge n. 190 del 2014 e l’art. 1, c. 90, della legge n. 56/2014 non sia enunciato in termini del tutto univoci, è pur sempre possibile conciliare le due disposizioni attraverso una lettura sistematica in quanto nulla impedisce alle Regioni, nei casi in cui optino per ambiti o bacini di dimensioni provinciali, di conformarsi a quanto previsto dalla legge Delrio, designando come enti di governo, titolari delle relative funzioni di organizzazione, le Province, secondo i princìpi di adeguatezza e sussidiarietà. In tal caso, infatti, non si porrà alcun problema di adesione dei Comuni agli enti di governo ma più semplicemente, si verificherà un trasferimento delle funzioni, per ragioni di esercizio unitario, presso le Province, attualmente caratterizzate come enti di secondo grado (sentenza n. 50 del 2015).

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto.

Simonetta Fabris

 


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