Condizione necessaria per l’applicazione dell’istituto del c.d. “baratto amministrativo” è che il Comune adotti apposito regolamento per disciplinare criteri e condizioni per il suo utilizzo da parte di cittadini, singoli e associati.
L’istituto non può essere impiegato per il pagamento di tributi arretrati iscritti fra i residui attivi del bilancio locale.
Corte dei conti, deliberazione 23 marzo 2016, n. 27/2016/PAR, Pres. ff. Marco Pieroni, Rel. Benedetta Cossu
Il quesito
Un Comune emiliano sottopone alla Corte dei conti un articolato quesito per conoscere quali sono le regole per applicare correttamente il c.d. “baratto amministrativo, e, in particolare, se è possibile utilizzare l’istituto per debiti pregressi dei contribuenti.
Il parere
La Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, con il parere che si annota, è dell’avviso, innanzitutto, che occorra l’adozione di un regolamento da parte dell’ente per potere utilizzare il suddetto istituto, da emanare, trattandosi di materia inerente la disciplina dei tributi locali, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 446/1997, disposizione che attribuisce ai Comuni, appunto, la potestà regolamentare per la disciplina dei tributi locali con la sola esclusione degli aspetti riservati alla fonte legislativa statale.
La Corte precisa, in particolare, che il suddetto regolamento deve dettare “criteri” e “condizioni” in base ai quali i cittadini, singoli o associati, possono presentare progetti relativi ad interventi di riqualificazione del territorio e, nello specifico, per “la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade, ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano ed extraurbano”.
Il Giudice contabile ricorda, inoltre, che deve sussistere un rapporto di stretta inerenza tra le esenzioni o le riduzioni di tributi che il comune può deliberare e le attività di cura e valorizzazione del territorio da realizzare.
L’esenzione dal pagamento dei tributi locali, inoltre, può essere concessa per un periodo di tempo limitato e definito, per tributi specifici e per tipologie di attività individuate dai comuni in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere.
Beneficiari di questo istituto, infine, possono essere sia le associazioni dei cittadini che i singoli, ma con priorità per le prime.
Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che “la ratio del collegamento tra intervento proposto dai soggetti amministrati legato alla cura del territorio comunale e l’agevolazione tributaria sia funzionale a governare gli effetti che il mancato o il ridotto gettito di alcuni tributi locali possono generare sugli stanziamenti dei bilanci di previsione degli enti locali che abbiano preventivamente adottato regolamenti contenenti la disciplina del cd. baratto amministrativo”.
Non ritiene, viceversa, ammissibile la possibilità di consentire che l’istituto sia utilizzato per l’adempimento di tributi locali relativi ad esercizi finanziari passati confluiti nella massa dei residui attivi dell’ente medesimo, in quanto in questo caso, non solo difetterebbe il requisito dell’inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai privati, ma si potrebbero determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio, considerato che i debiti tributari sono iscritti tra i residui attivi della contabilità dell’ente.
A margine
Il parere che si annota è il primo che viene emanato dalla Corte dei conti su questa materia. Non solo. L’avviso del giudice contabile è importante anche perché l’istituto è ripreso dallo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici in corso di approvazione da parte del Governo.
Com’è noto, il “baratto amministrativo” è disciplinato in modo molto ampio dall’art. 24 del d.l. 133/2014, con rinvio per la disciplina di dettaglio alla deliberazione del singolo ente, che deve definire “condizioni” e “criteri” per applicarlo in concreto.
L’art. 24 trascura, a ragione, di puntualizzare alcuni aspetti, per la cui soluzione è sufficiente rifarsi alla normativa in vigore.
Il primo problema riguarda l’organo del comune competente ad adottare la deliberazione su “criteri e condizioni” per l’applicazione dell’istituto in ciascuna realtà territoriale, e il termine per provvedere.
L’art. 24 del d.l. 133/2014 si limita a richiedere l’adozione di un’apposita deliberazione, senza nulla stabilire in ordine all’organo competente ad adottare questa decisione. Finora il comportamento dei comuni è stato abbastanza differenziato: alcuni hanno deciso di adottare un regolamento, altri una semplice deliberazione della giunta.
Anche se la disposizione non richiede espressamente l’intermediazione dello strumento regolamentare, la competenza in materia deve essere radicata in capo al consiglio. Ciò in quanto spetta a questo organo, in generale, disciplinare, con regolamento, i tributi locali (art. 52 d.lgs. 446/1997), salvo gli aspetti rimessi alla legge dello Stato (fattispecie imponibili, soggetti passivi e aliquota massima dei singoli tributi). Lo stesso art. 42, comma 2, lett.f, del TUEL rimette al consiglio la competenza a deliberare «istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote»: è evidente che nell’«ordinamento dei tributi» rientrano senz’altro le diverse forme di esenzioni o agevolazioni.
L’istituto, in sostanza, è considerato dalla norma come una sorta di partenariato pubblico – privato, di valore economico minore, che si traduce in una agevolazione tributaria particolare. La peculiarità sta nel fatto che l’agevolazione non è collegata alle condizioni del soggetto passivo dell’obbligazione o del suo nucleo familiare, ma ad una sua prestazione consistente nella gestione dei servizi relativi alla cura e alla valorizzazione del territorio.
Se è valida l’affermazione secondo cui la deliberazione di cui trattasi è riconducibile al potere regolamentare riconosciuto agli enti locali dall’art. 52 del d.lgs. 446, ne consegue che l’atto deve essere adottato, ai sensi del comma 2 di detto articolo, “non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione” per avere effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo.
Più complesso è il tema della natura del rapporto che si instaura fra ente locale e cittadino o comunità di cittadini.. Sul punto giova evidenziare che l’attività dei privati non è resa a titolo gratuito, ma è “pareggiata” dall’agevolazione tributaria. Non potrebbe essere inquadrata, quindi, nell’ambito delle attività di volontariato, in quanto mancherebbe il requisito della gratuità che, unitamente a quelli della personalità e spontaneità della prestazione, concorre a qualificare il “volontariato” ai sensi dell’art. 2 della legge n. 266 del 1991 (in senso conforme, Cassazione, sez. lavoro, 21 maggio 2008, n. 12964).
Sembra possibile sostenere che il rapporto fra l’ente e il privato, singolo o associato, trova nella legge la disciplina generale e nel regolamento locale e nel singolo contratto la sua fonte di regolazione specifica. Fra i criteri e le condizioni per l’applicazione dell’istituto, il regolamento dovrebbe definire anche quelli attinenti agli aspetti fiscali, previdenziali ed assicurativi cui assoggettare le prestazioni delle comunità di cittadini o dei singoli. Tali condizioni dovrebbero essere riprese nel contratto con il quale i privati si obbligano a realizzare le azioni concordate a favore di tutta la collettività in cambio di esenzioni o riduzioni di tributi.
La soluzione di questo problema, per le quali è auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle entrate e degli Enti previdenziali ed assicurativi, è importante soprattutto perché l’istituto, oggi regolato dall’art. 24 d.l. 133/2014, è ripreso anche nello schema di decreto legislativo sul nuovo Codice dei contratti pubblici che il Consiglio dei ministri, in attuazione della legge delega n. 11 del 2016, dovrà approvare definitivamente entro il 18 aprile prossimo.
L’art. 190, comma 1, dello schema del nuovo Codice dei contratti riconferma, infatti, la possibilità di concludere contratti di partenariato sociale con il seguente sinallagma: scambio fra riduzione di tributi locali e lavori eseguiti per la collettività.
L’attuale versione dell’art. 190 del nuovo Codice dei contratti, nel testo approvato dal Governo in prima lettura, contiene una disciplina ancora più ampia di quella prevista dal vigente art. 24. Tre le novità rilevanti rispetto alla disciplina in vigore. Primo. La facoltà di attivare contratti di partenariato sociale, oggi riservata ai soli comuni, è estesa a tutti gli enti territoriali e sembra diventare un obbligo. Secondo. L’esenzione dei tributi non è più prevista necessariamente per un periodo limitato. Terzo. Le agevolazioni non devono più essere per forza riservate in via prioritaria a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute.
Viene ampliato, inoltre, l’ambito delle possibili azioni di intervento con la previsione della possibilità di affidare la valorizzazione delle vie e piazze mediante iniziative culturali di vario genere.
Ecco il raffronto fra le due disposizioni che consente di apprezzare meglio le differenze.
Art. 24 d.l. 133/2014 | Art. 190, c. 1, schema nuovo Codice dei contratti |
1. I comuni possono definire con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché’ individuati in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano o extraurbano. In relazione alla tipologia dei predetti interventi, i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti al tipo di attività posta in essere. L’esenzione e’ concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Tali riduzioni sono concesse prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute.
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1. Gli enti territoriali definiscono con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di contratti di partenariato sociale, sulla base di progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in relazione ad un preciso ambito territoriale. I contratti possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati. In relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali individuano riduzioni o esenzioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dalla associazione ovvero comunque utili alla comunità di riferimento in un’ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa. |