L’Italia resta anche nel 2015 agli ultimi posti nella classifica europea per corruzione. E’ quanto risulta dalla pubblicqazione dei dati della XXI edizione del CPI, l’indice di percezione della corruzione, di Transparency International, presentati ieri a Roma alla presenza di Raffaele Cantone, Presidente dell’A.N.AC. Il CPI, com’è noto, misura la corruzione nel settore pubblico e politico di 168 Paesi nel Mondo.
Nonostante un leggero miglioramento rispetto allo scorso anno a livello globale, con un guadagno di 8 posizioni in classifica (dal 69 al 61° posto), il nostro Paese resta in fondo alla lista europea. Fa peggio di noi solo la Bulgaria, mentre guadagnano posizioni la Romania e la Grecia, considerati fin’ora Paesi molto corrotti.
Il complesso sistema di prevenzione del fenomeno avviato nel 2012 con la legge n. 190 e proseguito nel 2013 con la relativa normativa di attuazione, non ha funzionato come doveva. Modesti rsultati ha portato anche il potenziamento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, voluto dal Governo Renzi nel 2014 (d.l. n. 90/2014). L’Autorità, rafforzata nel ruolo e nelle funzioni di regolazione e controllo, non sembra sia riuscita, stando ai risultati registrati, a raggiungere l’obiettivo generale di ridurre l’entità del fenomeno.
I dati diffusi dall’importante Organizzazione che si occupa a livello globale di prevenire e contrastare la corruzione, richiedono risposte chiare a semplici domande. 1. Serve davvero ingolfare le pubbliche amministrazioni con onerosi adempimenti, spesso anche di difficile interpretazione e, di certo, di complessa attuazione, per prevenire un fenomeno così pervasivo e radicato nella società civile, nel mondo delle imprese e della politica? 2. Non sarebbe più efficace concentrare forze e risorse su quattro temi fondamentali: a. assicurare la certezza della pena con la revisione, fra l’altro, della normativa sulla prescrizione dei reati; b. ridefinire alcune fattispecie delittuose, quali il falso in bilancio, il riciclaggio e la corruzione fra privati, aggravandendo le relative pene; c. liberare la dirigenza pubblica dall’abbraccio mortale della politica, invertendo a 360 gradi la linea spoil system intrapresa dalla riforma Madia (L. 124/2015) in fase di attuazione; d. investire, in modo significativo, in formazione dei dipendenti pubblici e in innovazioni tecnologiche, organizzative e procedurali per modernizzare la PA? E, ancora, servono ulteriori riforme “epocali” (sic) della pubbblica amministrazione? Non si rischia forse di peggiorare la situazione creando confusione e sconcerto fra gli operatori, con l’unico risultato di distrarre l’opinione pubblica dai problemi reali?.
La corruzione non si combatte con norme, complesse e di difficle interpretazione, ma con leggi chiari chiare e semplici (secondo l’insegnamento di Cesare Beccaria). L’illegalità non si può prevenire con adempimenti, formali e di facciata, da realizzare per di più ad invarianza di spesa e a cura di soggetti, i responsabili della prevenzione, sprovvisti delle necessarie professionalità, privi di legittimazione e con poche risorse a disposizione. Il fallimento delle misure messe in campo dalla legge n. 190 è stato, per così dire, certificato, dalla stessa ANAC, che ha bocciato la stragrande maggioranza dei Piani anticorruzione 2015 e 2017 delle 1.911 amministrazioni oggetto dell’indagine a campione della stessa Autorità.
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