Due le scadenze ravvicinate e importanti in evidenza nelle agende dei responsabili della prevenzione della corruzione (RPC): la relazione annuale 2015 e il Piano triennale di prevenzione della corruzione 2016 – 2018.

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Relazione 2015 – L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha valutato opportuno prorogare al 15 gennaio 2016 il termine ultimo per la predisposizione e la pubblicazione della Relazione annuale 2015.

L’adempimento, originariamente fissato al 15 dicembre 2015, è previsto dell’art. 1, co. 14, della legge 190/2012, secondo cui «… Entro il 15 dicembre di ogni anno, il dirigente individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo (ndr, il RPC) pubblica nel sito web dell’amministrazione una relazione recante i risultati dell’attività svolta e la trasmette all’organo di indirizzo politico dell’amministrazione. Nei casi in cui l’organo di indirizzo politico lo richieda o qualora il dirigente responsabile lo ritenga opportuno, quest’ultimo riferisce sull’attività».

Nel comunicato pubblicato sul sito dell’Autorità il 4 dicembre 2015, il Presidente dell’A.N.AC ha giustificato la decisione di prorogare il termine per questo adempimento con l’esigenza di consentire ai RPC di svolgere adeguatamente le attività connesse alla predisposizione dei Piani di prevenzione della corruzione entro il 31 gennaio 2016, anche con riferimento alle nuove indicazioni operative contenute nell’Aggiornamento 2015 al PNA di cui alla determinazione n. 12 del 28 ottobre scorso.

In realtà, la proroga era indispensabile dato che l’A.N.AC ha pubblicato solo l’11 dicembre 2015 il nuovo modello di relazione e le sintetiche istruzioni per la sua compilazione.

La relazione costituisce, però, un importante momento di verifica di quanto pianificato nel P.T.P.C. per il 2015 e delle eventuali cause di scostamento rispetto alle misure attese.

La compilazione del modello obbligatorio di relazione non dovrebbe esimere il RPC dal redigere un documento più completo e puntuale. Un esempio per tutti, la formazione del personale. Non è sufficiente conoscere quali organismi hanno fornito i corsi (sui quali il modello impegna a rispondere), ma piuttosto verificare il grado di conseguimento degli obiettivi attesi, valutabili con la verifica dei giudizi espressi dai partecipanti sugli aspetti più rilevanti di ogni intervento formativo (custemer satisfaction) e con la misurazione del miglioramento della performance lavorativa dei formati per effetto delle competenze apprese (efficacia formativa). Questi sondaggi servono a disporre del feedback dei formati e sono indispensabili per adottare le successive decisioni sulle misure formative da adottare.

Monitoraggio del precedente PTCP  per elaborare il nuovo – La relazione è un presupposto necessario per elaborare l’aggiornamento 2016 al P.T.P.C. La verifica di cosa è stato effettivamente realizzato e delle motivazioni che hanno determinato uno scostamento rispetto alle misure previste nell’originario Piano si pone in un momento crono – logico antecedente a quello di elaborazione del nuovo «programma di lavoro» per il 2016 – 2018.

Se il P.T.C.P. 2015 – 2017 è stato collegato, come avrebbe dovuto essere, al sistema della performance e a quello dei controlli interni, sarebbe utile potere disporre delle risultanze del controllo di gestione sui risultati conseguiti almeno con riferimento alle misure previste nel P.T.C.P.

Sotto questo aspetto, sarebbe opportuno far coincidere il termine per predisposizione e la pubblicazione della relazione annuale con quello di adozione dell’aggiornamento al Piano e rendere la relazione annuale allegato obbligatorio del nuovo P.T.C.P, in modo da garantire un forte collegamento fra il “rendiconto” e la “previsione”, e valorizzare così la natura di programma a scorrimento di questo Piano.

Il Piano triennale di prevenzione della corruzione –  L’A.N.AC, nella richiamata determinazione 12/2015 di aggiornamento 2015 al PNA, ha denunciato la scarsa qualità dei piani esaminati a seguito dell’indagine condotta su un campione significativo di amministrazioni. Ed ha individuato le cause dell’insuccesso nelle novità e complessità della normativa; nella mancanza, all’interno delle organizzazioni, di professionalità specializzate in tecniche di risk management e nell’insufficienza di risorse per attuare una riforma complessa, da realizzare ad invarianza di spesa. E, soprattutto, nell’ approccio solo formale con cui ha operato la maggior parte delle amministrazioni.: le amministrazioni si sono limitate ad assicurare gli adempimenti obbligatori per legge, peraltro nella quasi completa latitanza degli organi di governo, senza preoccuparsi della qualità dei documenti elaborati e dell’effettività delle misure previste per ridurre le condizioni operative (mala gestio) che potrebbero favorire lo sviluppo nelle loro organizzazioni di fenomeni corruttivi. Con la riforma introdotta dalla legge «anticorruzione» 190/2012, in buona sostanza, si è ripetuto quell’approccio adempimentale che spesso le amministrazioni, più o meno volontariamente, privilegiano in occasione di riforme organizzative. E’ quanto avvenuto, ad esempio negli enti locali, per le novità in tema di programmazione e controllo (piano della performance e controlli interni) dopo il d.l. 174 del 2012, o quanto sta avvenendo oggi con il (quasi) nuovo sistema di programmazione di bilancio introdotto dalla riforma contabile degli enti locali (c.d. armonizzazione contabile, di cui al d.lgs n. 118/2011 e s.m., applicata obbligatoriamente dal 2015).

Se si privilegia un approccio meramente adempimentale al nuovo sistema ideato dalla «normativa anticorruzione» per prevenire i fenomeni di illegalità nelle pubbliche amministrazioni, si addossano alle strutture inutili  incombenze e si perde un’altra importante occasione per ripensare l’organizzazione del lavoro, delle procedure e delle attività, presupposti essenziali per sconfiggere i veri nemici della qualità dell’agere pubblico: la confusione nell’organizzazione e l’opacità del flusso decisionale e delle determinazioni finali.

Nelle strutture, elementari o complesse, prive di snellezza organizzativa e di chiarezza amministrativa, sprovvisti di strumenti di tracciabilità di “chi fa che cosa” e in “quali tempi” e carenti di meccanismi di programmazione e controllo, non solo è problematico evitare che si formi terreno fertile al verificarsi del c.d. “rischio corruzione”, ma è nel contempo difficile che si possano fornire ai cittadini prodotti e servizi a basso costo, in tempi certi e con standard qualitativi apprezzabili.

Riassumendo, il Piano di prevenzione della corruzione, essendo uno strumento di organizzazione, è un’utile occasione per pianificare, in una dimensione temporale predefinita, le attività e le risorse necessarie e, a certe condizioni, per ripensare l’organizzazione delle strutture e del lavoro

L’elaborazione del Piano – Fermo restando la competenza propositiva del responsabile della prevenzione, la progettazione del Piano deve essere realizzata con la collaborazione attiva di tutti i dirigenti o responsabili dei servizi.

E’ opportuno, quindi, che venga costituito, non tanto un apposito ufficio permanente, ma un gruppo di lavoro, formato dai dirigenti/responsabili dei servizi e loro più stretti collaboratori, e coordinato dal RPC o da un suo referente, con il compito, in composizione plenaria, di impostare le attività propedeutiche alla progettazione del Piano e, poi, di validare la proposta finale, e, in combinazioni più ristrette, di curarne le diverse fasi di lavorazione per definire il contenuto.

Il ricorso ad una task force, strutturata in proporzione alla complessità organizzativa dell’amministrazione procedente, aiuterebbe elaborare un programma “concreto” e “negoziato”, con contenuti specifici, conosciuti e condivisi da un numero rilevante di operatori.

La soluzione, peraltro, è suggerita dalla stessa legge «anticorruzione», che individua nei dirigenti i soggetti competenti a formulare le proposte per individuare le attività per le quali è più elevato il rischio di corruzione (art. 1, co 9, lett. L. n. 190/2012), ed è confermata dal Codice nazionale di comportamento, che impone al personale il dovere di collaborare con il RPC nella gestione del rischio e di garantire la tracciabilità dei processi decisionali attraverso un adeguato supporto documentale replicabile (artt. 8, 9 e 16  d.P.R n. 62 del 2013).

Come correttamente raccomandato dall’A.N.AC., è indispensabile che l’elaborazione del Piano sia preceduta da un’analisi valutativa delle circostanze che influiscono sui suoi contenuti (ambiente esterno ed interno),  senza la quale la pianificazione difetta di concretezza e di specificità.

Specificità del contenuto – Com’è noto, è equiparata ad omessa adozione e, quindi, è sanzionabile, l’approvazione di un provvedimento, «il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni, privo di misure specifiche introdotte in relazione alle esigenze dell’amministrazione interessata» (Regolamento  A.N.AC 9 settembre 2014 in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità per l’omessa adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di    trasparenza,  dei Codici di comportamento).. La specificità delle misure da adottare da parte di ciascuna amministrazioni non esclude che enti con stesse funzioni, ad organizzazione non complessa, adottino misure analoghe in modo che, in determinato territorio caratterizzato dalle stesse circostanze esterne, si progettino metodologie e strumenti comuni e si pianifichino le medesime attività di prevenzione. Se si effettua questa scelta, occorre spiegarne nel documento i motivi (es, piccola dimensione degli enti interessati; caratteristiche e circostanze esterne similari; aggregazione di servizi – funzioni; stesso personale in servizio presso più enti, ecc.).

La struttura del Piano – Sarebbe opportuno che il RPC predisponesse una «struttura» o «schema – tipo» di Piano, con un indice dettagliato dei capitoli da compilare e che formalizzasse, con una circolare interna, metodologia e tempi di svolgimento del lavoro. Azioni e tempistica per l’elaborazione del Piano dovrebbero trovare riscontro, per quanto attiene agli enti locali, nel piano dettagliato degli obiettivi.

Non serve dedicare inutili spazi alla descrizione delle funzioni del piano, all’enumerazione ed illustrazione dei reati presupposti o alla descrizione delle responsabilità dei diversi soggetti, in quanto questi elementi sono già delineati dalla norma. Occorre evitare, inoltre, riferimenti generici a buone intenzioni o lodevoli propositi, privi di concretezza e vagamente riferiti ai principi costituzionali di legalità, imparzialità e trasparenza.

Giuseppe Panassidi



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