Il “divieto di assumere” in caso di ritardo nei tempi medi pagamento verso terzi da parte della PA, si estende anche alla possibilità di instaurare rapporti di comando in quanto, in tal caso, l’ente ricevente è comunque tenuto a rimborsare all’ente di appartenenza le spese sostenute per il pagamento della retribuzione al dipendente comandato.
Corte dei conti, Sezione di controllo per la Regione Lazio, deliberazione n. 127-2015-PAR, 18 giugno 2015, Presidente Carbone Prosperetti, Relatore Romano.
Il quesito
Il quesito riguarda l’ambito di applicazione del divieto di assunzione posto dall’art. 41, c. 2, del d.l. n. 66-2014 nei confronti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 4, c. 1, del d.lgs. n. 231-2002, che abbiano registrato tempi medi nei pagamenti superiori a quelli disposti dal medesimo d. lgs..
In particolare si chiede di sapere se tali limitazioni siano applicabili anche in caso di comando di dipendenti pubblici, ipotesi nella quale, ad avviso dell’ente locale, non si viene ad instaurare alcun rapporto di lavoro con l’amministrazione ricevente.
Il parere
La Corte dei conti ritiene che il divieto menzionato precluda non solo l’instaurazione di rapporti di lavoro ex novo, come espressamente indicato della norma ma, più in generale, la possibilità di acquisire, con il ricorso ad istituti alternativi, quali il comando, unità lavorative con aggravio di spesa a carico del bilancio degli enti che presentino tempi medi di pagamento non in linea con l’indicatore legale di riferimento.
Ciò in quanto la ratio della disposizione mira a incentivare la corretta pianificazione di cassa ed il regolare assolvimento delle obbligazioni contratte dagli ee.ll., sanzionando i ritardi patologici che comporterebbero la corresponsione di interessi a carico dei conti pubblici.
Ad avviso della Corte dei conti, il conseguimento di tali effetti sarebbe sicuramente indebolito ove il comune ritardatario potesse ricorrere a forme di provvista di personale alternative alle assunzioni in senso stretto.
In particolare il collegio ricorda che, sebbene l’art. 41, c. 2 formuli espressamente il divieto con riferimento “alle assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale” lo stesso vieta anche i contratti con i soggetti privati che si configurino come elusivi della disposizione.
Tale precisazione dimostra la natura esemplificativa e non tassativa delle fattispecie richiamate e supporta l’interpretazione che il termine “assunzione” non sia da intendere in un’accezione restrittiva ma sia riferibile ad ogni ipotesi che determini l’utilizzo di una nuova risorsa umana a carico dell’ente interessato.
Pertanto il divieto in parola comprende anche il comando, sebbene tale istituto non comporti tecnicamente l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con l’ente ricevente, il quale è comunque tenuto a dirigere e gestire la prestazione lavorativa del dipendente comandato, nonché a rimborsare all’ente di appartenenza le spese sostenute per il pagamento della relativa retribuzione.
Annotazioni a margine
Nella deliberazione, la Corte dei conti ricorda che tale orientamento è in linea con quello ormai pacificamente formulato dalla giurisprudenza contabile in ordine alle sanzioni, di contenuto analogo, nel caso di violazioni del patto di stabilità interno. In tal senso si vedano: Sez. controllo Veneto deliberazione n. 37-PAR-2010, Sez. contr. Puglia del. n. 171-PAR-2013, Sez. contr. Lombardia deliberazione n. 879-2010-PAR.
L’unica eccezione riguarda la ricollocazione del personale delle province. Il d.l. n. 78-2015 (decreto Enti Locali), all’art. 4, c. 1, infatti, ha stabilito che: “In caso di mancato rispetto per l’anno 2014 dell’indicatore dei tempi medi nei pagamenti, del patto di stabilità interno e dei termini per l’invio della relativa certificazione, al solo fine di consentire la ricollocazione del personale delle province, in attuazione dei processi di riordino di cui alla legge n. 56-2014, e successive modificazioni, e delle disposizioni di cui all’articolo 1, c. 424, della legge n. 190-2014, non si applicano le sanzioni di cui all’articolo 41, c. 2, del d.l. n. 66-2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89-2014, di cui all’articolo 1, c. 462, lettera d), della legge n. 228-2012, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 31, c. 26, lettera d), della legge n. 183-2011, e successive modificazioni”.
di Simonetta Fabris