La legge della Regione Liguria n. 6 del 2014, nell’estendere al personale sanitario non medico (infermieri, tecnici della riabilitazione e della prevenzione, e ostetrici) la facoltà di svolgere  attività libero-professionale intramuraria in strutture sanitarie regionali, sia «singolarmente», sia anche in strutture sanitarie diverse da quella di appartenenza, ha esorbitato dall’ambito riservato alla legislazione regionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Corte Costituzionale, sentenza 24 febbraio – 31 marzo 2015, Pres. Criscuolo – Red. Napolitano

La legge regionale

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha impugnato la legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6, recante «Disposizioni in materia di esercizio di attività professionale da parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) e successive modificazioni e integrazioni», secondo il personale non medico (infermieri,  tecnici della riabilitazione, della prevenzione e  ostetrici) possono svolgere attività libero-professionale intramuraria addirittura anche  in strutture sanitarie diverse da quella di afferenza (art. 1, comma 1),  in quanto, in violazione dell’art. 117 , terzo comma Cost., si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali nella materia di «tutela della salute».

La sentenza

La Corte costituzionale, con la sentenza annotata, ha ritenuto le questioni prospettate  fondate ed ha dichiarato l’illegittimità della legge regionale impugnata per violazione dell’art. 117, terzo comma Cost.

La Corte, innanzitutto, riconferma ancora una volta che  le disposizioni concernenti l’attività sanitaria intramuraria debbono essere ricondotte alla materia della «tutela della salute» e non possano essere ricondotte alla materia della “organizzazione sanitaria” (in senso conforme sentenze n. 181 del 2006; n. 50 del 2007; n. 371 del 2008 e n. 301 del 2013). E, dopo una breve ricostruzione dell’evoluzione della normativa in materia, ha evidenziato che «la disciplina dell’attività libero-professionale intramuraria ha sempre riguardato specificamente il personale medico, nonché, ai sensi degli artt. 4, comma 11-bis e 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, il personale della dirigenza del ruolo sanitario, costituito da farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi», e il personale veterinario, mentre la legge nulla ha  previsto per il personale sanitario non medico, ad eccezione di quanto stabilito dall’art. 30, comma 4, del R.D. 30 settembre 1938 n. 1631, secondo cui «Tanto alla ostetrica capo che alle ostetriche è inibito l’esercizio professionale».

Per il Giudice delle leggi, la «circostanza che lo svolgimento dell’attività libero-professionale all’interno della struttura sanitaria sia stato previsto e disciplinato espressamente solo per i medici e i dirigenti del ruolo sanitario assume … il preciso significato di circoscrivere a tali categorie il riconoscimento del diritto in questione».

Ciò premesso, la Corte conferma che «le disposizioni che disciplinano l’attività intramuraria «rappresentano un elemento tra i più caratterizzanti nella disciplina del rapporto fra personale sanitario ed utenti del Servizio sanitario, nonché della stessa organizzazione sanitaria» (sentenza n. 50 del 2007)», di cui diverse  disposizioni hanno la natura di principio fondamentale, come  l’art. 15-quater, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992, modificato dall’art. 2-septies del decreto-legge n. 81 del 2004, che riconosce ai dirigenti medici e del ruolo sanitario la facoltà di scelta tra il regime di lavoro esclusivo e non esclusivo (sentenza n. 50 del 2007; sentenza n. 371 del 2008); l’art. 1 della legge n. 120 del 2007 diretto ad assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete possibilità di svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria, l’opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto di lavoro esclusivo (sentenza n. 371 del 2008).

Per la Corte, la medesima natura di principio fondamentale  riveste  la disciplina del profilo soggettivo dell’attività intra moenia, «in quanto volta a definire uno degli aspetti più qualificanti della organizzazione sanitaria, ovverosia quello della individuazione dei soggetti legittimati a svolgere la libera professione all’interno della struttura sanitaria, il quale richiede una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale».

 


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