La stampa lo ha evidenziato più volte: leggi, decreti – legge e decreti lesgislativi prevedono un consistente numero di decreti attuativi che poi non vengono emanati, con il risultato che le disposizioni restano solo sulla carta. Il Governo Monti,  in carica per un anno e mezzo, lascia 207 provvedimenti da adottare; il Govenro Letta, in soli 10 mesi, 306. A questo cattiva abitudine, non si sottrae, nonostante i buoni propositi, neppure l’attuale Governo: dal monitoraggio sullo stato di attuazione del programma del Governo, risulta che alla data del 21 ottobre scorso mancavano all’appello ben 246 provvedimenti attuativi dei 46 provvedimenti legislativi fino a quella data pubblicati. A quanti si è arrivati adesso non è noto, così come non sono conosciuti gli effetti negativi che l’inadempimento produce sui conti pubblici.

Del basso tasso di attuazione delle leggi, hanno beneficiato anche gli amministratori locali dei comuni con più di 1.000 abitanti e delle province, che, proprio dalla smemoratezza del Governo (in questo caso del Ministero dell’interno) si sono giovati per evitare la decurtazione dei loro stipendi in un percentuale variabile in base alla classe demografica dal 3 al 10 per cento, prevista dall’art. 5, comma 7, del decreto – legg n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Il richiamato art. 5, comma 7, della spending review del 2010 così recita (va): “Con decreto del Ministro dell’interno, adottato entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, ai sensi dell’articolo 82, comma 8, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, gli importi delle indennità già determinate ai sensi del citato articolo 82, comma 8, sono diminuiti, per un periodo non inferiore a tre anni, di una percentuale pari al 3 per cento per i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti e per le province con popolazione fino a 500.000 abitanti, di una percentuale pari al 7 per cento per i comuni con popolazione tra 15.001 e 250.000 abitanti e per le province con popolazione tra 500.001 e un milione di abitanti e di una percentuale pari al 10 per cento per i restanti comuni e per le restanti province. Sono esclusi dall’applicazione della presentedisposizione i comuni con meno di 1000 abitanti”.

Considerato che il suddetto decreto legge è entrato in vigore il 31 maggio 2010 , il Ministero avrebbe dovuto emanare il provvedimento attuativo entro il 28 settembre 2010.

Il tempo è ormai scaduto, considerato che la disposizione aveva un orizzonte temporale di tre anni. La norma, peraltro, è caduta nel dimenticatoio e nessuno ormai ne parla più, tranne la Corte dei conti  in alcuni delle sue deliberazioni con le quali risponde ai dubbi degli amministratori locali sulle modalità di determinazione  della loro indenntà di funzione. Così la recente deliberazione della Sezione di controllo per la Basilicata n. 112 del 10 dicembre 2914,  secondo cui “Tale disciplina di dettaglio [ ndr sulla determinazione dell’indennità di funzione] è contenuta nel DM 119 del 20 aprile 2000, adottato in esecuzione del previgente art. 23 della legge 265/2000 e tutt’oggi vigente, in quanto il nuovo regolamento previsto ai sensi dell’art. 5 comma 7 del Dl 78/2010 convertito nella legge 122/20101 non risulta ancora (sic!) approvato”. O la più datata deliberazione n. 1/2012 delle Sezioni riunite in sede di controllo, che, nell’affermare il carattere strutturale del taglio del 10% dell’indennità di funzione operato dall’art. 1, comma 54, della legge 26 dicembre 2005 n. 266, ricorda che di esso dovrà tenere conto il nuovo Decreto ministeriale da emanarsi in base al decreto – legge n. 78  finalizzato al contenimento della spesa pubblica.

Un’ultima domanda: perché per calcolare una riduzione percentuale già definita nella misura dalla legge, il Parlamento ha ritenuto necessario prevedere un apposito decreto attuativo? Non era sufficente affidarsi a una calcolatrice?

Giuseppe Panassidi


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