Le dinamiche funzionali del patto territoriale agevolano l’accesso agli ausili finanziari promananti dagli enti soci, purchè ricorrano metodiche non arbitrarie.
Le possibilità in capo agli enti locali di riversare supporto finanziario sulle proprie società partecipate in crisi, sono soggette ad un sistema di lacci e lacciuoli, che di sovente sfocia nella tendenziale paralisi.
I principi ordinatori elaborati sul tema dal legislatore e dalla giurisprudenza, “suonano” all’incirca così:
– la destinazione di risorse pubbliche in ausilio di società partecipate deve essere “funzionalizzata”, ossia costantemente direzionata al perseguimento di interessi pubblici concreti ed attuali;
– sono, quindi, vietati i rimborsi “a pie’ di lista”, gli interventi “tampone” a fondo perduto, in assenza di reali prospettive di continuità efficiente e, pertanto, preordinati alla mera riparazione degli errori gestionali e/o alla tenuta di politiche clientelari e/o rendite di posizione ed in definitiva alla sopravvivenza autoreferenziale degli organismi derivati, in questi casi da considerare quali vere e proprie “superfetazioni”; insomma, non può trovare applicazione la logica del “salvataggio a tutti i costi”.
Ma non sono in ballo soltanto le casse degli enti …
Occorre anche scuotersi dal sospetto di ostacolare le disposizioni dei trattati comunitari (art. 106 TFUE) che vietano ai soggetti operanti nel mercato comune (e tra questi risaltano, ai fini qui perseguiti, le società partecipate dagli enti locali) di beneficiare di diritti speciali o esclusivi o, in ogni caso, di privilegi in grado di alterare la concorrenza nel mercato.
Comunque, una particolare declinazione del tema è data dall’art. 6, comma 19, del Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni in Legge n. 122 del 30 luglio 2010, che preclude, in linea di principio, alle pubbliche amministrazioni di sostenere finanziariamente le proprie società partecipate non quotate in perdita, attraverso aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, rilascio di garanzie, qualora la perdita di esercizio si sia registrata per tre esercizi consecutivi o siano state utilizzate riserve disponibili per il ripiano di deficit anche infrannuali, salva comunque la possibilità di ricapitalizzazione nei casi di riduzione del capitale sociale al disotto dei limiti legali di cui all’art. 2744 del codice civile, seppur nei limiti strettamente necessari alla ricostituzione della soglia minima legale (onde evitare prassi speculative ed elusive).
La portata applicativa del precetto congloba altresì il trasferimento straordinario di risorse da parte dei soci, che miri ad evitare preventivamente l’emersione di perdite di esercizio per il terzo anno consecutivo, aggirando così (furbescamente) il presupposto del divieto.
Viceversa, una deroga tollerata dal sistema, legittimante trasferimenti di risorse pubbliche di qualunque natura, può essere integrata grazie alla vigenza di convenzioni, contratti di servizio o programmi afferenti allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti.
In tal senso, la chiave di volta, può ben essere rappresentata dalle esigenze di attuazione di un Patto Territoriale, di cui le società partecipate siano formalmente investite.
Purchè l’esborso sia stato previsto a monte dallo strumento convenzionale disciplinante i rapporti tra i vari soggetti interessati, nella prospettiva dinamica della copertura di perdite di gestione “già messe nel conto”, essendo state configurate come connaturali alla tipologia e alla dimensione degli investimenti da eseguire, secondo quanto dimostrato da retrostanti piani finanziari e temporali di spesa.
L’impianto derogatorio resterebbe in piedi anche nel caso del protrarsi del Patto oltre le previsioni iniziali, sulla scorta di evoluzioni oggettivamente non cristallizzabili negli strumenti convenzionali originari. Questo, tuttavia, non sdoganerebbe follie da rimborsi “a pie’ di lista” a tutto tondo. Occorrerebbe, comunque, riagganciarsi a metodiche da business plan e seria programmazione della spesa e degli interventi, in recepimento tempestivo della rimodulazione evolutiva della situazione.
Difatti, non sarebbe ammissibile la cronicizzazione dei risultati negativi, tale da richiedere il reiterato intervento ripanatore degli enti proprietari: nemmeno il sostegno produttivo ed occupazionale del comprensorio, seppur nell’ambito di strumenti di programmazione negoziata, autorizza la compromissione degli equilibri di bilancio, l’espunzione di metodiche programmatorie (in grado di quantificare con precisione gli oneri ricadenti su ciascuna delle parti dell’accordo), la sistematizzazione di estemporanei interventi di ripiano, peraltro lesivi dei principi di economicità e concorrenza.*
Roberto Maria Carbonara, segretario comunale
* Articolo ispirato da: Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Sicilia, deliberazioni nn. 105 del 19 agosto e 11 del 14 gennaio 2014; “Il salvataggio delle società partecipate in crisi”, su “www.moltocomuni.it” del 1 aprile 2014.