L’inutile decorso del termine (di trenta giorni, qualora non diversamente previsto) indicato nell’art. 12, comma 1, del Codice dei contratti pubblici comporta non già l’aggiudicazione definitiva, ma soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria della gara, adempimento, questo, che ai sensi dell’art. 11, V comma, è preliminare all’adozione del provvedimento finale di aggiudicazione definitiva.

Il procedimento di “revoca” dell’aggiudicazione provvisoria non necessita dell’avvio del procedimento e dell’espletamento “in contraddittorio”. Nell’ipotesi di revoca dell’aggiudicazione definitiva divenuta efficace, vi è la necessità di una nuova fase di contraddittorio.

Tar Veneto, sez. I, sent. n. 632/14Pres. Amoroso, Est. Rovis

Il fatto

L’aggiudicatario in via provvisoria di una gara pubblica ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo 163 del 2006, non ha diritto all’aggiudicazione definitiva, ma solo a chiedere che tale aggiudicazione avvenga.

Peraltro tale aggiudicazione può essere negata se, nelle more, interviene sentenza di condanna “in danno dello Stato o della Comunità”, come previsto dall’art. 38 del codice medesimo, anche se sia decorso il termine di trenta giorni come “silenzio assenso”.

Se vengono meno, quindi, i requisiti di “ordine generale” l’amministrazione è legittimata a negare l’aggiudicazione definitiva anche a seguito dell’inutile decorso dei trenta giorni di cui all’art. 12.

Ben può, quindi, la stazione appaltante, in tali casi, revocare l’aggiudicazione provvisoria.

Il sindacato sulla “gravità” dei reati contro lo Stato o la Comunità spetta all’Amministrazione, che avrà come limite quello della logicità e legittimità.

La sentenza

Il Tar Veneto con la sentenza n. 632 del 15 maggio 2014 dà ragione all’Amministrazione che aveva revocato il provvedimento di aggiudicazione provvisoria.

L’inutile decorso del termine di trenta giorni (qualora non diversamente previsto) di cui all’art. 12, 1° comma del codice degli appalti, infatti, comporta non già l’aggiudicazione definitiva, ma soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria della gara, prodromica al provvedimento finale di aggiudicazione definitiva.

Scaduto il termine di trenta giorni dall’aggiudicazione provvisoria, quest’ultima, in difetto di un provvedimento espresso, si ha per approvata tacitamente, e l’aggiudicatario provvisorio può esigere, chiedendolo formalmente, l’emissione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, quale atto conclusivo della procedura concorsuale.

Va inoltre sottolineato che il procedimento di “revoca” dell’aggiudicazione provvisoria non necessita dell’avvio del procedimento e dell’espletamento “in contraddittorio” di esso.

Infatti trattasi di passaggio endoprocedimentale, instabile e ad effetti interinali, del più ampio procedimento di gara già avviato.

La mancata conclusione della procedura concorsuale, per riscontrata carenza dei requisiti di moralità in capo al legale rappresentante dell’aggiudicataria provvisoria non costituisce, quindi, un nuovo procedimento, che necessiti del contraddittorio con l’interessato.

Trattasi, invece, di conclusione di un fase già in essere del medesimo procedimento azionato dalla parte con la domanda di partecipazione alla gara.

Diversamente, invece, accade nell’ipotesi di revoca dell’aggiudicazione definitiva divenuta efficace.

In questo caso vi è la necessità di una nuova fase di contraddittorio.

Capitolo importante è costituito dal metro di valutazione attraverso il quale si deve soppesare quella “gravità” del reato contro lo Stato o la Comunità di cui parla l’art. 38 del codice degli appalti per escludere la persistenza dei requisiti morali.

Nel caso di specie il legale rappresentante della ditta aggiudicataria era stato condannato per aver assunto manovalanza extracomunitaria in nero, falsificando dei documenti.

I provvedimenti emanati nell’esercizio del potere discrezionale tecnico della pubblica Amministrazionesono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito.

Tra tali provvedimenti discrezionali rientrano anche quelli che, con adeguata e congrua motivazione, valutano l’idoneità del reato ad integrare la causa di esclusione dalla gara.

Il altre parole il Tar non può attuare un giudizio “forte” sulle valutazioni, comunque opinabili, tale da condurre ad una sovrapposizione della propria valutazione a quella dell’Amministrazione.

La questione ruota attorno alla pluralità di soluzioni possibili a cui può condurre il ricorso a criteri discrezionali.

Al fine di evitare che tali valutazioni sfocino in vera e propria opinabilità delle possibili soluzioni, e quindi nell’incertezza e nell’arbitrio, il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi qualora la discrezionalità dell’Amministrazione non trascenda in apprezzamento illegittimo.

Il giudice può vagliare la correttezza dei criteri, la logicità e la coerenza del ragionamento nonché l’adeguatezza della motivazione con cui l’Amministrazione ha supportato le proprie valutazioni.

In altre parole il sindacato del giudice è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, di adeguatezza, coerenza, logicità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Amministrazione che si sia mantenuta entro i suddetti margini.

I reati “gravi” contro lo Stato o la Comunità devono, così, essere idonei a creare allarme sociale rispetto ad interessi di natura pubblicistica come, per l’appunto, i due reati in oggetto ovvero l’impiego di extracomunitari privi di permesso di soggiorno ed il reato di falso.

avv. Emanuele Compagno


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