Nel corso degli anni si è soventemente dibattuto in relazione alla possibilità di ricorrere, nel settore dei servizi e delle forniture, all’istituto dell’avvalimento nell’ambito della certificazione di qualità aziendale.

La questione appare quanto mai attuale, posto che, con una certa sistematicità, ci si trova di fronte a pronunce e provvedimenti di senso tra loro contrapposto.

In base ad un primo orientamento, infatti, la giurisprudenza amministrativa aveva ricondotto la certificazione di qualità tra i requisiti di carattere tecnico-organizzativo che, come noto, possono costituire oggetto di avvalimento (così, ex plurimis, Cons. St., sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5408; sez. III, 18 aprile 2011, n. 2344; sez. V, 23 maggio 2011, n. 3066; sez. V, 8 ottobre 2011, n. 5496; TAR Puglia, Bari, sez. I, 27 luglio 2012, n. 1534; TAR Campania, Napoli, sez. I, 9 luglio 2012, n. 3282).

A diversa conclusione era invece pervenuta l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, che, con propria determinazione n. 2 del 1° agosto 2012, ha affermato che sarebbero proprio gli artt. 49 e 50 della Direttiva 2004/18/CE a non prevedere la facoltà di ricorso all’avvalimento per il requisito della certificazione aziendale, il che sarebbe confermato dalla normativa nazionale, che ha consentito l’avvalimento dei requisiti concernenti la capacità economico-finanziaria e quelli concernenti la capacità tecnico-organizzativa dell’operatore economico di cui agli artt. 41 e 42 del d.lg. n. 163/2006, e non quelli di cui all’art. 43 del medesimo codice degli appalti, cui va ricondotta, ad avviso dell’Autorità, la certificazione di qualità aziendale.

In un primo momento tale teoria non era stata condivisa dalla quinta sezione del Consiglio di Stato, che, con propria sentenza in data 23 ottobre 2012, n. 5408, ha ammesso il ricorso all’avvalimento anche in relazione al requisito della certificazione di qualità, motivando il proprio orientamento sul presupposto che l’istituto, in quanto finalizzato a consentire in concreto la concorrenza aprendo il mercato ad operatori economici di per sé privi di requisiti di carattere economico–finanziario e tecnico–organizzativo, consente di avvalersi dei requisiti di capacità di altre imprese.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato, nella sentenza da ultimo richiamata, che l’istituto di matrice unionista dell’avvalimento è stato trasfuso nell’art. 49 del d.lg. n. 163/2006, il quale stabilisce che il concorrente «può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico–finanziario, tecnico–organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto»: ad avviso del Collegio, in particolare, la formulazione dell’art. 49 cit. è molto ampia e non prevede alcun divieto, sicché ben può l’avvalimento riferirsi anche alla certificazione di qualità di altro operatore economico, attenendo essa ai requisiti di capacità tecnica, e non rilevando, in contrario, che la certificazione di qualità è un requisito di natura “personale” dell’impresa che ne è provvista.

Più precisamente, è stato affermato nell’occasione che «la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell’organizzazione complessiva, è da considerarsi anch’essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell’impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrare la capacità tecnico professionale di un’impresa, assicurando che l’impresa cui sarà affidato il servizio o la fornitura sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2004, n. 1459)».

Allo stesso modo si è espressa la medesima sezione V del Consiglio di Stato, che, con sentenza in data 6 marzo 2013, n. 1368, ha espressamente ammesso l’avvalimento della certificazione di qualità, affermando che «nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell’organizzazione complessiva, è da considerarsi anch’essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell’impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l’impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto; di conseguenza, afferendo essa alla capacità tecnica dell’imprenditore, può formare oggetto dell’avvalimento quale disciplinato con l’art. 49, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163» (conformemente, TAR Puglia, Bari,  20 maggio 2013, n. 783)

Tuttavia, una prima voce “fuori dal coro” è rappresentata da una pronuncia del TAR Lazio, che, mutando il precedente indirizzo giurisprudenziale, ha negato la possibilità di ricorrere all’avvalimento in relazione alla certificazione di qualità, affermando che «è del tutto evidente […] che se, in concreto, l’impresa ausiliaria che presta la propria certificazione di qualità fosse obbligata a mettere a disposizione dell’ausiliata le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità, l’impresa principale (quella ausiliata) sarebbe titolare solo formalmente del rapporto contrattuale con l’ente appaltante, assumendo, la funzione di intermediario o, al massimo, quella di supervisione e di coordinamento dell’attività dell’impresa ausiliaria. Ciò, invero, produrrebbe una scissione tra la titolarità formale del contratto e la materiale esecuzione dello stesso» (TAR Lazio, Roma, 24 aprile 2013, n. 4130).

Ed è proprio su quest’ultimo punto che si sofferma, in una recente pronunciail Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza del 25 febbraio 2014, n. 887.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti, «non va sminuito il passaggio del TAR sull’evidente scissione tra titolarità del contratto aggiudicato e responsabilità della sua materiale esecuzione, quale risultante di un avvalimento sulle certificazioni de quibus», con la conseguenza che «reputa al riguardo il Collegio che la certificazione di qualità si connoti dal fine di valorizzare tutti e ciascun elemento di eccellenza nell’organizzazione complessiva dell’impresa. Certificando siffatta qualità, dunque, il competente organismo non fa che constatare come tale organizzazione sia e si mostri preordinata ed abile a raggiungere e mantenere nel tempo lo standard di qualità chiesto dalla relativa norma tecnica. Il che è come dire che il dato di qualità è un metodo ed un know how che trascende, perlomeno finché è in grado di durare, la mera efficienza nella strutturazione dei fattori della produzione e diviene l’essenza stessa dell’impresa, di per sé e coeteris paribus non riproducibile tal quale all’esterno. Proprio in ciò risiede la “soggettività” dei requisiti stessi e la conseguente impossibilità di dedurli in avvalimento, si badi, non per l’angustia della norma nazionale rispetto a quella comunitaria, né a causa di interpretazioni fallaci o grette. L’impossibilità dell’avvalimento si ha solo a causa della evidente, materiale irriproducibilità, al di là, cioè, d’ogni diritto positivo o di mentalità giuridica, della qualità fuori dal contesto in cui è generata e viene certificata. Sussiste evidente l’intima correlazione tra l’ottimale gestione dell’impresa nel suo complesso ed il riconoscimento della qualità, cosa, questa, che conferisce alla relativa certificazione un connotato, tutt’altro che implicito, d’insopprimibile soggettività».

In definitiva, secondo quanto statuito dal Supremo Consesso, l’intima connessione tra qualità e status dell’impresa ausiliaria comporterebbe  che l’una  sarebbe cedibile ad altre organizzazioni solo se congiuntamente all’altro: in altri termini, il contratto di avvalimento dovrebbe prevedere la cessione dell’intero complesso aziendale in capo al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, la quale cessione non potendo che essere “effettiva”, finirebbe per configurare quella inammissibile scissione tra la titolarità formale del contratto e la materiale esecuzione dello stesso.

Questione risolta, dunque, con tale innovativo orientamento ? Per nulla.

A distanza di soli tre mesi dalla citata pronuncia del Consiglio di Stato è intervenuto il TAR Abruzzo, che, non condividendo la tesi da ultimo delineata, e dopo aver dato espressamente atto della sussistenza di «diversi orientamenti – anche recenti – nella soggetta materia», ma ritenendo di «privilegiare il motivato e convincente filone giurisprudenziale mirato a dare piena espansione all’istituto dell’avvalimento, in conformità ai vincolanti statuti europei dell’istituto stesso, disciplinato dagli articoli 47 e 48 della direttiva 2004/18/CE», ha affermato che «è legittima l’ammissione in gara di una ditta che, al fine di dimostrare il possesso della certificazione di qualità, ha fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento; infatti, la formulazione dell’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006, che ha trasfuso nell’ordinamento italiano l’art. 48 della direttiva 2004/18/CE e che afferma che il concorrente “può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico – finanziario, tecnico – organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto“, è molto ampia e non prevede alcun divieto; sicché ben può l’avvalimento riferirsi anche alla certificazione di qualità di altro operatore economico, attenendo essa ai requisiti di capacità tecnica» (TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 22 maggio 2014, n. 484).

Sono pertanto maturi i tempi per una rimessione dell’intera questione al vaglio dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, e ciò allo scopo di ottenere un’indicazione finalmente definitiva, che possa rappresentare una valida bussola per tutti gli operatori del settore, oggi in balia di ondivaghi orientamenti giurisprudenziali che, di certo, non consentono di conseguire la tanto agognata “certezza del diritto”.     


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