Ai fini della revoca del presidente del consiglio comunale, il giudice amministrativo deve verificare la non arbitrarietà della valutazione politica dei fatti ritenuti lesivi della neutralità del ruolo
Tar Puglia, Lecce, sezione prima, 20 febbraio 2014, Presidente A. Cavallari, Estensore C. Lattanzi
Il caso
La vicenda nasce dalla revoca del presidente del consiglio di un comune pugliese e dalla contestuale nomina di un nuovo presidente da parte dell’assemblea.
A motivazione della revoca il consiglio contesta al soggetto di:
- aver inserito all’ordine del giorno, solo con ritardo, alcune mozioni, interpellanze e interrogazioni;
- aver inserito con “estrema sollecitudine” due interrogazioni di consiglieri facenti capo allo stesso gruppo consiliare;
- aver pubblicato nell’albo pretorio del comune un atto deliberativo difforme da quanto emerso nella discussione in consiglio comunale;
- aver continuato, anche dopo l’elezione a presidente, ad essere componente di una commissione e aver determinato le condizioni perché non si raggiungesse il numero legale nell’attività di detta commissione.
Il presidente revocato ritiene invece di aver sempre rivestito un ruolo imparziale e considera tali motivazioni inadeguate e già pienamente confutate. Peraltro i provvedimenti sarebbero stati assunti a seguito del cambio di maggioranza politica.
Conseguentemente esso impugna le delibere di revoca e di nomina del nuovo presidente eccependo:
- la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. n. 267-2000, di alcuni articoli dello statuto comunale e del regolamento sul funzionamento del consiglio comunale, nonché dei principi generali di diritto in materia di revoca della carica di presidente del consiglio comunale;
- l’eccesso di potere per arbitrarietà dell’azione amministrativa e ingiustizia manifesta;
- lo sviamento;
- l’ illegittimità derivata.
Il comune e il nuovo presidente si costituiscono in giudizio controdeducendo nel merito.
La sentenza
Il Tar Lecce ritiene il ricorso fondato e lo accoglie.
Il giudice ricorda che il presidente del consiglio comunale riveste un ruolo istituzionale di garanzia al fine del regolare funzionamento dell’organo assembleare e del corretto svolgimento della dialettica tra maggioranza e minoranza. La sua revoca non può essere motivata sulla base di una valutazione fiduciaria di tipo strettamente politico ma va sempre ricondotta al cattivo esercizio della funzione.
Ciò considerato, l’unico parametro posto alla base di un provvedimento di revoca può essere la violazione del principio di neutralità nell’esercizio della funzione e non un rapporto di fiducia (Consiglio di Stato, sez. V, 26 novembre 2013, n. 5605).
Affinché la revoca non si fondi su presupposti inesistenti o immotivati il giudice amministrativo deve quindi verificare l’effettiva sussistenza dei fatti contestati e la non arbitrarietà della valutazione politica consiliare posta alla base del provvedimento.
Nel caso in esame il ricorrente, in riferimento alle contestazioni sul ritardato inserimento all’ordine del giorno di alcune mozioni, ha dimostrato che la data di discussione è stata decisa all’unanimità dalla conferenza dei capigruppo così come è avvenuto per le interrogazioni provenienti dai consiglieri appartenenti allo stesso gruppo dell’ex presidente. Peraltro, in assenza di riscontri formali e documentati, l’inserimento tardivo non risulta provato.
Ancora, per quanto riguarda la mancanza della copia cartacea di una delibera poi regolarmente discussa e approvata, la sua assenza può essere ritenuta conseguenza di una disfunzione organizzativa, dalla quale non è possibile dedurre la volontà di favorire una parte politica o di attentare alla funzionalità dell’organo. La stessa considerazione vale per la pubblicazione all’albo pretorio del comune di un atto deliberativo difforme da quanto emerso nella discussione in consiglio, per il quale lo stesso ricorrente ha provveduto a segnalare l’errore.
Infine, circa la contestazione di essere componente di una commissione e aver determinato le condizioni perché non si raggiungesse il numero legale necessario al funzionamento dell’organo, il Tar rileva che, nessuna norma vieta la partecipazione del presidente alle commissioni. Peraltro, la sua assenza dai lavori appare giustificata dalla mole di impegni istituzionali.
Infine, le frasi riportate nel profilo facebook del ricorrente non possono essere considerate oggetto di contradditorio in quanto, sebbene discusse, non inserite nella mozione di sfiducia .
La valutazione della sentenza
Nella pronuncia in esame il giudice amministrativo ricorda che i fatti contestati nella mozione di sfiducia alla base di un provvedimento di revoca del presidente del consiglio comunale devono concretare la perdita della necessaria neutralità. In particolare, gli eventi devono essere tali da compromettere l’equilibrio politico-istituzionale dell’organo assembrare e, in generale, l’efficienza, l’ efficacia e il buon andamento dell’azione amministrativa.
La figura del presidente del consiglio è stata introdotta dal comma 3 bis dell’art. 31 della l. n. 142-1990 (oggi art. 39 d.lgs. n. 267-2000): è obbligatoria per le province e i comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti e facoltativa, in base ad eventuale previsione statutaria, nei comuni con popolazione inferiore.
In base alle previsioni, la rappresentatività del presidente del consiglio comunale è di tipo meramente istituzionale.
In particolare, al presidente del consiglio spettano tutti i poteri atti ad assicurare l’effettività dei diritti dei consiglieri, nonché il corretto svolgimento dei lavori del consiglio stesso. Conseguentemente, esso è titolare di un munus pubblico, ovvero di poteri funzionalizzati, la cui violazione costituisce indice rivelatore di comportamento censurabile.
A fronte della rilevanza dei compiti ascritti, la legge non prevede l’istituto della revoca del presidente del consiglio comunale ma ne demanda la disciplina alla fonte statutaria e regolamentare.
In proposito, il Consiglio di Stato ha chiarito che, sebbene la revoca tragga origine da apprezzamenti di carattere politico, essa non esprime una scelta libera nei fini, ma persegue finalità normative, non disponibili dai componenti del consiglio e dalle forze in esso presenti, di garantire la continuità della funzione di indirizzo politico amministrativo dell’ente comunale (sez. V, 26 novembre 2013, n. 5605).
Lo statuto e il regolamento per il funzionamento del consiglio devono quindi prevedere la possibilità di presentare una specifica mozione di sfiducia ma devono circondarla di opportune forme di cautela per assicurare un regime di stabilità all’ufficio presidenziale.
di Simonetta Fabris