Il rigetto di un’istanza di accesso agli atti per motivi di ordine e sicurezza pubblici è illegittimo se l’amministrazione non ha prima verificato, per ogni singolo documento, la sussistenza o meno delle esigenze di tutela ex art. 24, comma 6, lett. c), l. n. 241-1990, ovvero la possibilità di consentire comunque l’accesso, salvaguardando i dati non ostensibili, mediante tecniche di oscuramento
Tar Piemonte, Torino, sezione prima, 21 febbraio 2014, Presidente L. Balucani, Estensore G. Pescatore
Il caso
Nella vicenda in esame, il ricorrente, destinatario di un provvedimento di ammonimento per stalking disposto dalla Questura di Torino ex art. 8 del d.l. n. 11-2009 (1), chiede di accedere agli atti del relativo procedimento amministrativo e di estrarne copia ai sensi dell’art. 10, l. n. 241 del 1990.
La Questura nega l’accesso ritenendo gli atti non ostensibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. b), del D.M. Interno n. 415 del 1994.
Il soggetto propone quindi ricorso al Tar Piemonte affermando:
- l’insussistenza di ragioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica;
- la violazione dell’art. 24, c. 7, della l. n. 241 del 1990 in quanto atti funzionali alla difesa e alla tutela dei propri interessi giuridici;
- il carattere recessivo delle esigenze di riservatezza dei terzi rispetto alle necessità difensive.
Il Ministero del’Interno, costituitosi in giudizio, precisa che la documentazione richiesta attiene ad atti di polizia giudiziaria, esclusi dall’accesso in base al citato decreto.
Peraltro, avendo l’amministrazione già adottato il provvedimento conclusivo del procedimento, il ricorrente risulterebbe privo dell’interesse ad accedere ex art. 10, l. n. 241.
Infine, il ricorso separato, promosso dall’istante sul provvedimento finale, offrirebbe sufficienti garanzie di tutela procedimentale e processuale, che renderebbero recessivo l’interesse all’acquisizione dei documenti con autonomo ricorso ex art. 25, l. n. 241-1990.
La sentenza
Il Tar Piemonte ritiene il ricorso fondato e lo accoglie.
Il collegio ricorda che l’amministrazione dell’Interno, in ossequio al disposto di cui all’art. 24, c. 6, lettera c), l. n. 241-1990, ha adottato il D.M. n. n. 415-1994 recante il “Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
L’art. 3, lettera b) di tale decreto esclude espressamente dall’accesso, le “relazioni di servizio, le informazioni ed gli altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori […], che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica e all’attività di prevenzione e repressione della criminalità […] ”.
Nel caso in esame, i documenti richiesti riguardano il materiale istruttorio sulla base del quale la Questura ha ammonito, con apposito provvedimento il ricorrente, ad avere un comportamento conforme a legge nonché ad astenersi da qualsiasi atteggiamento molesto o minaccioso nei confronti di un soggetto terzo e dei suoi congiunti.
Secondo il giudice, la motivazione alla base del diniego opposto dall’amministrazione risulta tuttavia insufficiente in quanto si limita a richiamare l’art. 3, lettera b) del DM, senza offrire nessun’altra precisazione.
In proposito si chiarisce che, sebbene l’attività di prevenzione delle condotte persecutorie da “stalking” sia ascrivibile alla materia della pubblica sicurezza, cui si ispira l’art. 3 comma 1, lett. b) del D.M., 10 maggio 1994, n. 415, un’ interpretazione strettamente letterale dello stesso articolo non sembra ammissibile.
Ove la disposizione venisse interpretata in senso letterale si potrebbe infatti dubitare della sua legittimità, in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente generalizzata all’accesso di quasi tutti i documenti formati dall’amministrazione dell’Interno con frustrazione delle finalità della l. n. 241 del 1990 (Tar Latina, sez. I, 6 ottobre 2010, n. 1653; 15 ottobre 2009, n. 949 e 2 aprile 2012 n. 263; Tar Milano sez. I, 9 aprile 2013, n. 873).
Tale illegittimità imporrebbe la disapplicazione della disposizione da parte del giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35).
Nel caso in esame, il Tar ritiene che la Questura avrebbe dovuto, prima, verificare per ogni singolo documento oggetto di istanza, la sussistenza o meno delle esigenze di tutela previste dall’art. 24, comma 6, lett. c), della l. n. 241, idonee a giustificare il diniego di accesso. In presenza di tali condizioni avrebbe dovuto poi valutare la possibilità di consentire ugualmente la visione e l’estrazione di copia dei documenti, salvaguardando le parti da mantenere riservate mediante oscuramento (Tar Lazio, sez. I, 30 luglio 2002, n. 6857).
La Questura ha, invece, privilegiato un’interpretazione delle norme del D.M. n. 415-1994 nel senso di un’esclusione indiscriminata e generalizzata dall’accesso, optando, quindi, per una lettura censurabile delle previsioni regolamentari.
Da ultimo, l’argomentazione addotta dal Ministero secondo cui il provvedimento di ammonimento è stato impugnato in un separato giudizio che offre ulteriori forme di garanzia, non rileva. Ciò in quanto il rimedio speciale previsto a tutela del diritto di accesso deve ritenersi esperibile anche in pendenza di un giudizio amministrativo ordinario, all’interno del quale i documenti oggetto della domanda di accesso possano essere acquisiti, in via istruttoria, dal giudice.
Per tali ragioni il giudice di primo grado dispone l’annullamento della nota della Questura di Torino che nega l’accesso, e ordina l’esibizione dei documenti richiesti entro 30 giorni dalla notifica della sentenza, previa verifica, per ognuno di essi, dell’insussistenza in concreto delle esigenze di tutela ex art. 24, comma 6, lett. c), l. n. 241-1990.
Nel caso in cui le suddette esigenze venissero riconosciute come esistenti, l’amministrazione dovrà valutare la possibilità di consentire ugualmente l’accesso salvaguardando i dati non ostensibili tramite la formula “omissis”.
La valutazione della sentenza
Nella pronuncia in esame il Tar afferma che un diniego all’accesso, non opportunamente circoscritto con riferimento a esigenze di ordine e sicurezza pubbliche, non appare coerente con la lettura del dato normativo di cui alla legge n. 241-1990.
In materia è stato ammesso l’accesso alla documentazione istruttoria alla base di una informativa antimafia interdittiva e relativa ad un’impresa, in seguito alla quale venivano risolti i contratti stipulati dalla stessa con una società appaltatrice e con una subappaltatrice, per la difesa dei propri interessi giuridici (Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 24 agosto 2011, n. 1146).
In particolare, tale pronuncia ha evidenziato che, dalla motivazione del diniego devono emergere le concrete ragioni che impediscono la divulgazione del documento, specie se, in conseguenza di detto diniego, è stato pregiudicato il diritto di difesa dell’istante, che nel successivo giudizio di impugnazione, si trovi nella impossibilità di contestare nel merito le ragioni effettive su cui si fonda l’informativa antimafia.
Il giudice ha precisato che l’accesso va escluso per tutte le parti di documenti coperte da segreto istruttorio, riguardanti indagini preliminari o procedimenti penali in corso e se i documenti coinvolgano, a qualunque titolo, soggetti terzi, interessati dalle informative di polizia, di sicurezza, ovvero per la tutela di procedure di accertamento in corso di svolgimento di contrasto alla delinquenza organizzata.
Per tali motivi, non sono ostensibili, le relazioni di servizio utilizzate e, più in dettaglio, i nomi, le qualifiche e i reparti di appartenenza degli autori di dette relazioni, oltre alle fonti soggettive delle informazioni. Possono invece essere rivelati i provvedimenti della magistratura penale, dopo che siano cessate le esigenze connesse al segreto istruttorio (Consiglio di Giustizia amministrativa, 5 gennaio 2011 n. 9 e 3 marzo 2010 n. 281).
Ancora, il Tar Bari, sez. I, 22 aprile 2004, n. 2031 ha affermato che l’amministrazione può negare l’accesso a fronte di una richiesta di visionare atti contenenti notizie relative all’ordine pubblico e all’attività di prevenzione ma deve dare conto delle ragioni del diniego attraverso un provvedimento motivato. Laddove tale motivazione sia carente o manchi del tutto, il Tribunale, può, con sentenza interlocutoria, ordinare all’amministrazione di depositare, entro un dato termine, una relazione a firma del funzionario che ha disposto il diniego, recante la precisa indicazione delle ragioni sottese a detta determinazione.
In particolare, tale potere-dovere e’ riconosciuto dall’art. 44, c. 1 del R. D. n. 1054 del 1924 ed è espressamente richiamato dalla Corte Costituzionale nell’ ordinanza 29 maggio 2002 n. 223.
Infine, anche in ambito europeo, la Corte di Giustizia dell’Unione, nella sentenza del 1 febbraio 2007, sez. I, ha precisato che le istituzioni comunitarie possono negare l’accesso a documenti la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico, alla sicurezza pubblica, alla difesa e alle questioni militari, ma sono tenute a spiegarne […] le ragioni concretamente ed effettivamente, ai sensi delle eccezioni previste dall’art. 4 del Regolamento n. 1049-2001.
di Simonetta Fabris
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(1) Convertito il l. 23 aprile 2009, n. 38.