Il decreto legge 1 luglio 2013 n. 78, recante “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena” (in Gazzetta Ufficiale 2 luglio 2013 n. 153 e convertito in legge 9 agosto 2013 n. 94, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 193 del 19 agosto 2013, in vigore dal 20 agosto 2013), contiene disposizioni tese a fornire una prima risposta del Governo al problema del sovraffollamento penitenziario, anche al fine di scongiurare il rischio di nuove condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
D.L. 1 luglio 2013 n. 78 (cd svuotacarceri)
Le norme introdotte con il provvedimento in esame apportano modifiche al codice penale (limitatamente all’art. 612 bis c.p.), al codice di procedura penale, alla legge di ordinamento penitenziario e al testo unico sugli stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990) .
L’intervento riformatore si muove nell’ottica di favorire l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione in relazione a soggetti di non elevata pericolosità, mentre resta ferma la necessità dell’ingresso in carcere dei condannati a pena definitiva che abbiano commesso reati di particolare allarme sociale.
Sul versante della deflazione carceraria, il provvedimento prevede misure dirette che vanno ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari, sia sul fronte degli ingressi in carcere sia su quello e quella delle uscite dalla detenzione.
Da un lato, viene ridotto il flusso di soggetti in ingresso negli istituti penitenziari: basti pensare alla restrizione dell’ambito di operatività della custodia cautelare in carcere e all’ampliamento dell’operatività del meccanismo di sospensione dell’ordine di esecuzione delle condanne a pena detentiva di cui all’art. 656 co.5 c.p.p.); dall’altro, vengono parzialmente eliminati alcuni automatismi, ancorati ad astratte presunzioni assolute di pericolosità ma invero privi di un reale significato in termini di c.d. “difesa sociale”, che impediscono o rendono più difficile l’accesso ai benefici penitenziari a categorie di condannati (soprattutto ai ‘recidivi reiterati’), in particolare non consentendo l’applicazione delle misure alternative alla detenzione subito dopo il passaggio in giudicato della condanna.
Le modifiche al codice penale
Il limite massimo della pena prevista per lo stalking viene elevato da quattro a cinque anni, al fine di consentire l’applicabilità della custodia cautelare, che sarebbe ora altrimenti preclusa dai nuovi limiti di pena fissati nell’art.280 co.2 c.p.p..
Art. 612-bis (Atti persecutori)
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge anche separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa.
Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma.
Le modifiche al codice di procedura penale
Con riferimento all’applicabilità delle misure cautelari personali coercitive (art.280 c.p.p.) la legge di conversione stabilisce che la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per i delitti – consumati o tentati – per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni (precedentemente erano 4) e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti.
In merito all’esigenza cautelare rappresentata dal pericolo di “commissione di delitti della stessa specie” di quello per cui si procede viene altresì precisato che la custodia cautelare può essere disposta solo se si tratta di delitti puniti nel massimo con una pena non inferiore a 5 anni (anziché a 4).
Art.274 – Esigenze cautelari
1. Le misure cautelari sono disposte:
a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti;
b) quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione;
c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
Art.280 – Condizioni di applicabilità delle misure coercitive
1. Salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 del presente articolo e dall’articolo 391, le misure previste in questo capo possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.
2. La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni.
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare
Ai sensi del co.1 bis, introdotto nell’art.284 c.p.p., si specifica che il giudice deve operare una valutazione sull’idoneità del luogo di esecuzione della misura degli arresti domiciliari, individuandolo in considerazione delle “prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato”.
Come evidenziato nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, tale norma è finalizzata a soddisfare le esigenza di tutela della persona offesa nei reati come i maltrattamenti o lo stalking, “laddove la vicinanza dell’autore delle condotte [alla vittima] potrebbe agevolarlo nella reiterazione delle stesse o nella perpetrazione di delitti più gravi”.
Art. 284. Arresti domiciliari
1. Con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta.
1-bis. Il giudice dispone il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare comunque le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato.
2. Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono.
3. Se l’imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa.
4. Il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, anche di propria iniziativa, possono controllare in ogni momento l’osservanza delle prescrizioni imposte all’imputato.
5. L’imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare.
5-bis. Non possono essere, comunque, concessi gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede. A tale fine il giudice assume nelle forme più rapide le relative notizie.
Con una modifica dell’art. 386 c.p.p. viene espressamente prevista la possibilità di trasmettere il verbale di arresto o di fermo anche per via telematica.
Art.386 – Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o il fermo o hanno avuto in consegna l’arrestato, ne danno immediata notizia al pubblico ministero del luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito. Avvertono inoltre l’arrestato o il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia.
2. Dell’avvenuto arresto o fermo gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria informano immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal pubblico ministero a norma dell’articolo 97.
3. Qualora non ricorra l’ipotesi prevista dall’articolo 389, comma 2, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria pongono l’arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e comunque non oltre ventiquattro ore dall’arresto o dal fermo. Entro il medesimo termine trasmettono il relativo verbale, anche per via telematica, salvo che il pubblico ministero autorizzi una dilazione maggiore. Il verbale contiene l’eventuale nomina del difensore di fiducia, l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui l’arresto o il fermo è stato eseguito e l’enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria pongono l’arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero mediante la conduzione nella casa circondariale o mandamentale del luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito, salvo quanto previsto dall’articolo 558.
5. Il pubblico ministero può disporre che l’arrestato o il fermato sia custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell’articolo 284 ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale o mandamentale.
6. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria trasmettono il verbale di fermo anche al pubblico ministero che lo ha disposto, se diverso da quello indicato nel comma 1.
7. L’arresto o il fermo diviene inefficace se non sono osservati i termini previsti dal comma 3.
L’esecuzione delle pene detentive
Attraverso la modifica apportata all’art. 656 c.p.p., la carcerazione immediata è stata riservata ai soli condannati in via definitiva nei cui confronti vi sia una particolare necessità del ricorso alla più grave forma detentiva.
Il limite dei 3 anni di pena detentiva per la sospensione dell’ordine di esecuzione viene innalzato a 4 anni, nei casi previsti dall’art. 47 ter comma 1 ord. penit., ovvero nei casi in cui è possibile ottenere la detenzione domiciliare c.d. per motivi umanitari (per persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali, donna incinta, madre – o padre – di prole, convivente, di età inferiore ai dieci anni; persona in gravi condizioni di salute; ultrasessantenne se inabile anche parzialmente; minore di anni ventuno).
Viene così risolta una disparità di trattamento in forza della quale si poteva richiedere la detenzione domiciliare per pene fino a 4 anni, mentre il limite per chiedere la misura dallo stato di libertà con sospensione dell’ordine di esecuzione concerneva pene fino a 3 anni.
Pertanto, (fatte salve le preclusioni di cui al co.9), il meccanismo di cui all’art. 656 co.5 c.p.p. opera:
a) di regola, per le condanne a pene detentive fino a tre anni;
b) nei confronti dei soggetti di cui all’art. 47 ter ord. penit., per le condanne a pene detentive fino a quattro anni;
c) nei confronti dei tossicodipendenti, laddove si debba applicare l’art. 90 o 94 D.P.R. n. 309 del 1990, per condanne a pene detentive fino a sei anni.
Un ulteriore ampliamento dell’operatività del meccanismo sospensivo di cui all’art. 656 co.5 c.p.p. deriva poi dalla possibile anticipazione, al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione, dell’applicazione della liberazione anticipata ex art. 54 ord. penit. (che prevede come noto uno sconto di pena di 45 giorni ogni sei mesi di pena scontata o di custodia cautelare).
Quando la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a 3 anni (o 6 nel caso di condannato tossicodipendente, ai fini dell’applicazione delle misure di cui agli artt. 90 e 94 del Testo Unico in materia di stupefacenti), il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Solo a seguito dell’ordinanza del magistrato, il p.m. potrà emettere il provvedimento ex art. 656 c.p.p.:
a) sospendendo l’ordine di esecuzione, qualora per effetto degli sconti di pena ex art. 54 ord. penit., la pena sia ‘scesa’ al di sotto dei livelli di cui al co. 5;
b) emettendo l’ordine di esecuzione quando la pena residua da scontare sia superiore a tali livelli.
In forza di questo beneficio, al condannato possono essere detratti 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata e la “soglia” dei 3 anni per poter chiedere la misura alternativa dallo stato di libertà si alza di tutti i giorni detratti a titolo di liberazione anticipata.
Questa regola non si applica ai condannati ex art. 4 bis ord. penit.
La sospensione dell’ordine di esecuzione non può essere disposta:
1) nei casi previsti dal comma 9 lett.b) dell’art. 656 c.p.p., ossia “nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in custodia cautelare in carcere”;
2) nel caso di condannato per un delitto di cui all’art. 4 bis ord. penit..
La revisione del catalogo dei reati ostativi alla sospensione dell’ordine di esecuzione comporta l’esclusione del furto aggravato e la preclusione per i recidivi reiterati, mentre vi permangono l’incendio boschivo, il furto in abitazione e il furto con scasso. Vengono poi inseriti altri due reati: quello di maltrattamenti commessi in danno o in presenza di un familiare o convivente minore di anni 18 e quello di atti persecutori commessi nei confronti di minore, donna incinta o disabile ovvero con armi o da persona travisata, secondo quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 612 bis c.p..
Sempre nell’ambito del co.9 dell’art. 656 c.p. viene invece soppressa la lettera c), concernente il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione per i recidivi reiterati di cui all’art. 99 co.4, c.p., riconosciuta la scarsa significatività, in termini di difesa sociale, della presunzione assoluta di pericolosità a carico di questa categoria di condannati
Il testo del decreto legge inizialmente aveva soppresso anche l’inciso “fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 T.U. stupefacenti”, che fa riferimento agli imputati tossicodipendenti o alcooldipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici.
In forza dell’art. 89 T.U. stupefacenti, in corso di processo e quando ricorrerebbero i presupposti per la custodia cautelare, a questi imputati possono essere concessi gli arresti domiciliari: in due ipotesi, anche se si tratta di condannati per uno dei reati di cui all’art. 4 bis ord. penit. (segnatamente, in caso di rapina aggravata e estorsione aggravata), ovviamente sempre che non sussistano collegamenti con la criminalità organizzata.
Non risultava, pertanto, chiaro se il decreto legge avesse voluto fare un passo indietro rispetto ad una scelta legislativa già consolidata, in contrasto con la politica di decarcerizzazione che ispira l’intero provvedimento. Opportunamente, la legge di conversione mette mano al problema e inserisce nuovamente l’inciso nel testo dell’art. 656 c.p.p..
Art.656 – Esecuzione delle pene detentive
1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell’ordine è consegnata all’interessato.
2. Se il condannato è già detenuto, l’ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all’interessato.
3. L’ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant’altro valga a identificarla, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all’esecuzione. L’ordine è notificato al difensore del condannato.
4. L’ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall’articolo 277.
4-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
4-ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4-bis, trasmette senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata.
4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza.
5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o a sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione. L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni , e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico. L’avviso informa altresì che, ove non sia presentata l’istanza, o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l’esecuzione della pena avrà corso immediato.
6. L’istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato al pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero. Se l’istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’art. 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d’ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all’assunzione di prove a norma dell’articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell’istanza.
7. La sospensione dell’esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.
8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l’istanza non sia stata tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione. Il pubblico ministero provvede analogamente quando l’istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all’articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto. A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l’istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti.
8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all’esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica.
9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, 624-bis del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva;
c) (soppressa).
10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza.
Le modifiche all’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975)
Gli interventi di modifica alla legge sull’ordinamento penitenziario mirano all’eliminazione degli automatismi fondati su presunzioni assolute di pericolosità.
La disciplina del lavoro all’esterno di detenuti e internati viene allargata attraverso la previsione della possibilità di assegnare detenuti e internati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgersi presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.
La legge di conversione inserisce anche la possibilità per i detenuti e gli internati (con la sola eccezione dei condannati per il delitto di associazione di stampo mafioso) di prestare la propria attività – a titolo volontario e gratuito – a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi.
Art.21 – Lavoro all’esterno.
1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all’esterno in condizioni idonee a garantire l’attuazione positiva degli scopi previsti dall’articolo 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis, l’assegnazione al lavoro esterno può essere disposta dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all’ergastolo l’assegnazione può avvenire dopo l’espiazione di almeno dieci anni.
2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all’esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all’esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.
3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell’istituto a cui il detenuto o l’internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale.
4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno diviene esecutivo dopo l’approvazione del magistrato di sorveglianza.
4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo dell’articolo 20 si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale all’esterno degli istituti penitenziari.
4-ter. I detenuti e gli internati di norma possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito, tenendo conto anche delle loro specifiche professionalità e attitudini lavorative, nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni, le aziende sanitarie locali o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. I detenuti e gli internati possono essere inoltre assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi. L’attività è in ogni caso svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei detenuti e degli internati. Sono esclusi dalle previsioni del presente comma i detenuti e gli internati per il delitto di cui all’articolo 416-bis del codice penale e per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste. Si applicano, in quanto compatibili, le modalità previste nell’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
I termini per la concessione della semilibertà ai recidivi reiterati, in precedenza più elevati, vengono equiparati a quelli previsti per gli altri detenuti.
Inoltre, con riferimento alla detenzione domiciliare i recidivi reiterati sono ora ammessi:
• alla detenzione domiciliare c.d. per motivi umanitari secondo le regole comuni (in precedenza, solo se la pena residua non superava i 3 anni).
• alla detenzione domiciliare biennale (per motivi di deflazione carceraria e in presenza di pena residua non superiore a 2 anni)
Sono stati soppressi sia il divieto di concessione della detenzione domiciliare tra i 3 e i 4 anni di pena (co.1.1. art. 47 ter ord. penit.) che il divieto di accesso alla detenzione domiciliare infra-biennale (co.1 bis art. 47 ter ord. penit.).
L’abrogazione delle disposizioni che limitavano per i condannati recidivi qualificati l’accesso ai benefici penitenziari (permessi premio, semilibertà) e vietavano la concessione per più di una volta di misure alternative alla detenzione in un’ottica di progressione trattamentale viene operata sul presupposto che tali condannati non sono necessariamente portatori di una significativa, attuale, pericolosità sociale.
Art.47-ter Detenzione domiciliare
01. La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall’articolo 4-bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale.
1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza ovvero, nell’ipotesi di cui alla lettera a), in case famiglia protette, quando trattasi di:
a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente;
b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali;
d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente;
e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.
1.1. (soppresso).
1-bis. La detenzione domiciliare può essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis.
1-ter. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L’esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare.
1-quater. L’istanza di applicazione della detenzione domiciliare è rivolta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo di esecuzione. Nei casi in cui vi sia un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza di detenzione domiciliare di cui ai precedenti commi 01, 1, 1-bis e 1-ter è rivolta al magistrato di sorveglianza che può disporre l’applicazione provvisoria della misura. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 47, comma 4.
2.-3. (abrogati).
4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dall’articolo 284 del codice di procedura penale. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare.
4-bis. Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l’osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 275-bis del codice di procedura penale.
5. Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare.
6. La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure.
7. Deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis.
8. Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, è punito ai sensi dell’articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell’ultimo comma dello stesso articolo.
9. La condanna per il delitto di cui al comma 8, salvo che il fatto non sia di lieve entità, importa la revoca del beneficio.
9-bis. Se la misura di cui al comma 1-bis è revocata ai sensi dei commi precedenti la pena residua non può essere sostituita con altra misura.
Nell’ambito dei permessi premio viene aumentata la durata per i minori di età (si passa da 20 a 30 giorni per ogni singolo permesso e da 60 a 100 giorni complessivi in ciascun anno di espiazione) e viene elevata la soglia di pena a partire dalla quale i i detenuti adulti possono essere ammessi ai permessi premio.
La concessione dei permessi premio è pertanto prevista:
• nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione non superiore a quattro anni (prima erano tre), anche se congiunta all’arresto e nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a quattro anni (in luogo dei precedenti tre), dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena e salvo quanto previsto ad hoc per i condannati di cui all’art.4 bis O.P (per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater, dopo l’espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni)
• nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni.
Art.30-ter. Permessi premio.
1. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.
1-bis. (Abrogato)
2. Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i trenta giorni e la durata complessiva non può eccedere i cento
giorni in ciascun anno di espiazione.
3. L’esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali penitenziari in
collaborazione con gli operatori sociali del territorio.
4. La concessione dei permessi è ammessa:
a) nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione non superiore a quattro anni anche se congiunta all’arresto;
b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a quattro anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena;
c) nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’articolo 4-bis, dopo l’espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni;
d) nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni.
5. Nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso
durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione e’ ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto.
6. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell’articolo 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo.
7. Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’articolo 30-bis.
8. La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali.
Le modifiche al testo unico in materia di stupefacenti (D.P.R. n.309 del 1990)
Il decreto in esame, con specifico riferimento al reato commesso da persona tossicodipendente, amplia la possibilità di applicare il lavoro di pubblica utilità in luogo della pena detentiva o della pena pecuniaria quando ricorrono fatti di lieve entità e comunque in presenza dei reati diversi per i quali il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, fatta eccezione per i reati contro la persona e per i reati gravi tassativamente elencati all’art. 407 co.2 lett.a) c.p.p. (devastazione, saccheggio e strage, guerra civile, associazione di stampa mafioso).
Rispetto al testo del decreto legge, la legge di conversione limita parzialmente l’operatività della nuova disposizione escludendo i reati contro la persona e specificando che il “reato diverso”:
• deve essere stato commesso non solo da persona tossicodipendente, ma anche “in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale”;
• deve essere stato commesso “per una sola volta”;
Art.73 co.5-ter. La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.
Le altre misure
Allo scopo di favorire l’attività lavorativa esterna vengono ampliati gli sgravi contributivi e i crediti di imposta per le imprese che assumono detenuti e internati.
In particolare:
• gli sgravi contributivi di cui all’art.4 co.3-bis delle legge 8 novembre 1991 n. 381 si applicano per un periodo successivo alla cessazione dello stato di detenzione di diciotto mesi per i detenuti ed internati che hanno beneficiato di misure alternative alla detenzione o del lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975 n. 354, e successive modificazioni, e di ventiquattro mesi per i detenuti ed internati che non ne hanno beneficiato;
• alle imprese che assumono, per un periodo di tempo non inferiore ai trenta giorni, lavoratori detenuti e internati ammessi al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975 n. 354, e successive modificazioni, o che svolgono effettivamente attività formative nei loro confronti, è concesso un credito d’imposta mensile nella misura massima di settecento euro per ogni lavoratore assunto; alle imprese che assumono, per un periodo di tempo non inferiore ai trenta giorni, detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione, o che svolgono effettivamente attività formative nei loro confronti, è concesso un credito d’imposta mensile nella misura massima di trecentocinquanta euro per ogni lavoratore assunto. Detti crediti d’imposta sono utilizzabili esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 e successive modificazioni, e si applicano per un periodo di diciotto mesi successivo alla cessazione dello stato di detenzione per i detenuti ed internati che hanno beneficiato di misure alternative alla detenzione o del lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modificazioni, e di ventiquattro mesi per i detenuti ed internati che non ne hanno beneficiato.