Il capogruppo consiliare riveste la qualifica di pubblico ufficiale a prescindere dalla natura giuridica che voglia riconoscersi ai gruppi consiliari.

Integra, pertanto, gli estremi del peculato l’appropriazione da parte del capogruppo delle somme di denaro destinate al gruppo consiliare.

Cass. pen., sez.VI, sentenza 9 gennaio 2013, n.1053

Nella sentenza in commento i giudici della Suprema Corte affrontano la questione della configurabilità o meno del reato di peculato nella condotta di un capogruppo consiliare appropriatosi delle somme di denaro destinate al gruppo di appartenenza.

Il thema decidendum investe la qualificazione soggettiva del capogruppo consiliare e – almeno incidentalmente – la natura giuridica dei gruppi politici consiliari regionali e degli analoghi gruppi formati in seno al Parlamento nazionale e ai Consigli provinciali.

Secondo un accreditato indirizzo della giurisprudenza di merito i gruppi consiliari, in ragione delle funzioni svolte collaborando all’organizzazione dei lavori del Consiglio regionale e partecipando alla formazione delle commissioni consiliari, “debbono senz’altro considerarsi dotati di natura pubblica e il loro presidente è un pubblico ufficiale”.

L’impiego delle risorse finanziarie attribuite da leggi regionali ai gruppi per l’espletamento delle loro funzioni è sottoposto al vaglio del Comitato regionale di controllo contabile, “sicché i gruppi consiliari possono qualificarsi come strutture interne agli organi assembleari, disciplinate da norme di diritto pubblico, che contribuiscono e partecipano all’esercizio della funzione legislativa”.

Dal riconoscimento della natura pubblicistica dei gruppi consiliari discenderebbe coerentemente la qualifica di pubblico ufficiale attribuibile al capo-gruppo, che ne esprime la volontà e la rappresentanza in più sedi e forme e in rapporto di diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio regionale.

L’indebita appropriazione da parte del capogruppo in veste di pubblico ufficiale delle risorse finanziarie assegnate dalla Regione al gruppo consiliare dovrebbe pertanto ricondursi necessariamente alla fattispecie del peculato.

Tali considerazioni sono a fondamento sia dell’adozione del sequestro preventivo ex art.321 co.1 c.p.p. che della successiva confisca – ai sensi del combinato disposto degli artt.321 co. 2 c.p.p. e 322 ter c.p. – delle somme di denaro costituenti profitto del reato.

L’assunto difensivo muove, invece, da un differente inquadramento dei fatti in ragione della natura di associazione privata asseritamente ascrivibile al gruppo consiliare, ‘proiezione dell’omologo partito politico’ il cui apparato organizzativo interno è affatto distinto dalle strutture burocratiche e organizzative del Consiglio regionale e della Regione (Consiglio di Stato, sez.IV, decisione del 28 ottobre 1992 n.932).

Peraltro, la stessa Suprema Corte, con altra pronuncia della sezione IV datata 12 maggio 2003 n.33069, ha ravvisato nei gruppi consiliari ‘una sorta di interfaccia o cerniera fra i consiglieri regionali e provinciali (e quindi l’organizzazione dei pubblici poteri) e la società e i cittadini (che attraverso i partiti politici e i gruppi sono rappresentati nei consigli)”.

Con la pronuncia in esame i giudici della Corte di Cassazione modificano – per così dire – l’angolo prospettico e ‘superano’ la ritenuta centralità della questione sulla natura giuridica del gruppo consiliare, pure dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ma che non assume valenze dirimenti rispetto alla vicenda che qui interessa e che attinge la posizione processuale del ‘capogruppo’ e la sua qualificabilità o meno come pubblico ufficiale quando agisce in veste di presidente del suo gruppo consiliare regionale e gestisce, unico soggetto a ciò legittimato, le contribuzioni provenienti dal bilancio regionale per il funzionamento del gruppo.

Qui ricorrono gli estremi del peculato in presenza dei seguenti elementi costitutivi:
1) qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto agente (ciò che connota il peculato come un reato proprio);
2) possesso da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio del denaro o altra cosa mobile ‘altrui’;
3) possibilità per il soggetto agente di compiere atti dispositivi sull’altrui denaro o cosa mobile derivante da ragioni connesse all’ufficio o al servizio pubblici da lui svolti;
4) atti di appropriazione di tale denaro o altra cosa mobile.

Il primo aspetto viene senz’altro ravvisato nell’attività svolta dal presidente di un gruppo consiliare regionale, che lo colloca in una posizione di particolare incidenza funzionale ed organizzativa nella vita del Consiglio regionale stesso.

“Il capo del gruppo politico consiliare, infatti, concorre – partecipando alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi – alla organizzazione e calendarizzazione dei lavori dell’assemblea, alla organizzazione delle altre attività consiliari propedeutiche a quelle direttamente legiferanti, alla indicazione dei membri del proprio gruppo di riferimento che compongono le commissioni operanti nel Consiglio regionale. Una serie di facoltà e di poteri, dunque, il cui esercizio esalta la rilevanza della figura del presidente del gruppo, rendendolo diretto partecipe di una peculiare modalità progettuale ed attuativa della funzione legislativa regionale, che lo qualifica senza alcuna incertezza come pubblico ufficiale ai sensi dell’art.357 co.1 c.p.”.

Tale qualifica prescinde dalla natura giuridica che voglia riconoscersi ai gruppi consiliari e si coniuga ad una disciplina di diritto pubblico dell’azione del gruppo consiliare in seno al Consiglio regionale.

Gli ulteriori presupposti della fattispecie di peculato (possesso del denaro, possibilità di compiere atti dispositivi ecc.) trovano “esclusiva e assorbente causa nella qualità di presidente del gruppo consiliare, che permette di disporre delle erogazioni regionali”.


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