I servizi di verifica presso le attività commerciali e produttive, svolti dalle Forze di Polizia a competenza sia nazionale che locale nell’ottica di un effettivo contrasto all’immigrazione irregolare ed allo sfruttamento della manodopera clandestina, garantiscono significativi margini di efficacia nella misura in cui si attui un intervento multifattoriale capace di coinvolgere tutti i soggetti a vario titolo deputati al contrasto delle illegalità in questione.
Le condizioni socio-demografiche nel nostro Paese, profondamente mutate nell’ultimo ventennio, hanno inevitabilmente proiettato effetti di rilievo sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica, con specifico riguardo alla presenza di cittadini extracomunitari irregolari, alle espulsioni con accompagnamenti alla frontiera, al commercio illegale di sostanze stupefacenti, all’esercizio, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, alle tensioni tra gruppi di diversa provenienza, al fermento estremistico di carattere politico ed al disagio giovanile.
In particolare il dinamismo e la propensione all’imprenditoria di talune fasce di migranti hanno progressivamente condotto al proliferare di piccole-medie aziende che hanno monopolizzato la produzione di “bassa fascia” sulle confezioni riferibili al c.d. “pronto moda”.
Se a questo si aggiunge il copioso e programmato impiego di manodopera clandestina proveniente dall’estero, congiunto alle modalità di conduzione delle aziende che spesso totalmente prescinde dal rispetto delle normative in tema di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro, delle norme urbanistiche, dei vincoli fiscali, dei precetti assicurativi e di tutela nei confronti dei lavoratori, ben si comprende quanto remunerativa ed appetibile è divenuta tale attività economica.
Questa situazione ha anche accresciuto il senso di disagio dell’economia locale e determinato una maggiore richiesta d’intervento alle forze dell’ordine – da parte della cittadinanza – per il ripristino delle condizioni di legalità, a fronte di una difficile convivenza anche per il disturbo alla quiete pubblica che talune attività produttive causano al vicinato.
I servizi di verifica che si rendono pertanto necessari presso le attività commerciali e produttive, nell’ottica di un effettivo contrasto all’immigrazione irregolare ed allo sfruttamento della manodopera clandestina, garantiscono significativi margini di efficacia nella misura in cui si attui un intervento multifattoriale da parte di tutti i soggetti a vario titolo deputati al contrasto delle illegalità in questione.
La praticabilità di nuovi moduli operativi multiagenziali è stata sperimentata negli ultimi anni e con interessanti risultati in una realtà a forte vocazione immigratoria, come la città di Prato.
Qui l’emersione del dato concernente le presenze clandestine sul territorio della Provincia ha progressivamente determinato la necessità di orientare i servizi di controllo in questione – segnatamente nei macrolotti cittadini – nel senso di prevedere una ricostruzione accurata del quadro di riferimento attraverso una sorta di ‘censimento’ delle attività produttive e commerciali presenti nelle capillari diramazioni dei ‘macrolotti’ e la condivisione delle risultanze delle banche dati delle amministrazioni che concorrono nelle verifiche.
Viene così redatta una ‘carta d’identità dell’azienda’ nella quale specificare non solo gli esiti dei controlli, con le sanzioni comminate e le irregolarità riscontrate, ma anche i dati utili a verificare la regolarità contributiva (si pensi ai profili di carattere fiscale, al pagamento delle imposte e delle tasse comunali, al rispetto della normativa previdenziale, assistenziale e di sicurezza sul luogo di lavoro, ecc.).
La condivisione dei dati permette di assicurare una più efficace attività di contrasto per i profili di polizia giudiziaria ma anche per l’adozione dei provvedimenti inibitori a carico delle aziende irregolari e dei proprietari degli immobili.
Il controllo delle attività produttive e commerciali deve intendersi orientato non solo all’abusivismo commerciale concernente la vendita di prodotti su area pubblica da parte di soggetti, in genere extracomunitari, privi di autorizzazione commerciale, ma anche quelle a forme, più occulte, di irregolarità diffusa che contribuiscono ad alimentare il ‘senso di insicurezza’ dei cittadini e che, di conseguenza, generano una domanda di sicurezza rivolta alle istituzioni locali.
Questa irregolarità silente e diffusa, che permea molte attività commerciali, è un fenomeno in costante aumento nonostante la crisi europea ed è legata a molteplici fattori, solo in parte spiegabili attraverso la copiosa immigrazione dai paesi dell’estremo oriente.
Gli effetti più evidenti si manifestano nella gestione delle attività produttive, con forme di concorrenza sleale e violazione di numerose norme di carattere amministrativo e penale.
Nell’ambito delle sinergie concertate con gli altri enti che concorrono per i profili di rispettiva competenza, vengono regolarmente pianificati servizi di contrasto all’immigrazione clandestina ed al suo sfruttamento ma anche per assicurare un controllo più capillare presso le attività produttive e commerciali, ove sempre più spesso si rende necessario procedere a sequestri degli immobili e dei macchinari, oltre che ad arresti o denunce dei datori di lavoro.
Al riguardo la polizia locale, oltre al commercio, ha competenze dirette sui controlli edilizi, ambientali e in genere su ogni attività di rilascio di licenze e concessioni da parte dell’ente comunale che sono l’oggetto principale delle corruzioni poste a base dei criteri di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose.
La progettazione di questa nuova modalità operativa si attua mediante uno sforzo sinergico di tutte le amministrazioni coinvolte: Forze di Polizia, Polizia Municipale ed altri enti di vigilanza e controllo a competenza specifica (VV.FF., ASL, DPL, Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL), nonché Aziende Autonome competenti per specifici profili (ASM per la riscossione della Tariffa di Igiene Ambientale).
I servizi di controllo in concorso presso ditte e/o attività produttive vengono opportunamente pianificati dal tavolo interforze che recepisce le determinazioni emergenti dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica che si tiene presso l’Ufficio Territoriale del Governo.
L’obiettivo di fondo è quello di realizzare, attraverso l’effetto moltiplicatore indotto dalla coordinata e sistematica pianificazione dei servizi svolti dalle singole Forze di Polizia e dagli altri enti interessati alla gestione del fenomeno, una capillare e penetrante conoscenza dello scenario di riferimento.
I controlli interforze non si limitano a laboratori di confezione, tintorie e stamperie, ma riguardano anche altre fenomenologie, come quella del c.d. “pronto moda”, cioè delle attività commerciali che, per la straordinaria flessibilità ed i bassi prezzi praticati, richiamano intermediari e commercianti da tutta l’Europa.
A parte l’abusivismo nel trasporto e l’evasione fiscale, i maggiori elementi di preoccupazione sono qui concentrati sui pagamenti in denaro contante, detenuto in somme ingenti da acquirenti e venditori, fatto che attira l’attenzione di soggetti organizzati, dediti ad attività predatorie spesso violente.
Le dinamiche del lavoro irregolare correlate ai flussi clandestini nel nostro paese di cittadini cinesi permettono di disporre in maniera costante di una forza-lavoro che può essere ‘mobilitata’ anche da altre regioni con notevole velocità e a costi irrisori. Se a questo si aggiunge l’altrettanto significativa celerità nel costituire nuove aziende e organizzare attività produttive e/o commerciali negli immobili disponibili in ambito provinciale si può ben comprendere la gravità del fenomeno e l’inadeguatezza di una risposta delegata al solo strumento penalistico.
La gestione operativa dei servizi di contrasto all’immigrazione irregolare ed allo sfruttamento della manodopera clandestina conferma, sotto questo profilo, i margini di efficacia di un intervento multifattoriale, di natura anche e soprattutto amministrativa, con sanzioni pecuniarie e provvedimenti che permettano di rendere inutilizzabili i beni strumentali ad attività di sfruttamento dell’altrui condizione di irregolarità sul territorio, a fronte di un approccio di carattere penale che anche in questo campo dovrebbe assumersi necessariamente sussidiario (extrema ratio).
L’attività condotta in stretta sinergia tra le Forze di Polizia e gli altri enti che concorrono per i profili di rispettiva competenza, dimostra che, al di là delle più odiose manifestazioni di sfruttamento, tratta e traffico di migranti, per le quali risulta inevitabile l’approccio penalistico, rimane fondamentale e maggiormente efficace l’adozione delle misure amministrative quali il sequestro degli immobili, dei macchinari e più in generale delle strutture che agevolano e consentono di perpetrare le condotte illecite sopra descritte.
L’arsenale amministrativo si è ulteriormente arricchito con l’art.9 del decreto legge 12 novembre 2010 n. 187 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2010 n.217, che ha modificato la disciplina della confisca introducendo un nuovo comma all’art.20 della legge 24 novembre 1981 n. 689: “in presenza di violazioni gravi o reiterate, in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è sempre disposta la confisca amministrativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e delle cose che ne sono il prodotto, anche se non venga emessa l’ordinanza – ingiunzione di pagamento. La disposizione non si applica se la cosa appartiene a persona estranea alla violazione amministrativa”.
Si tratta di un’ipotesi di confisca amministrativa obbligatoria, che opera con riferimento alle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione e alle cose che ne sono il prodotto, a condizione che le violazioni siano gravi o reiterate e riguardino la materia della tutela del lavoro, dell’igiene sui luoghi di lavoro e della prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Originariamente si doveva prevedere la confisca degli immobili usati per attività illegali, ma sulla base delle indicazioni pervenute dalla Presidenza della Repubblica il testo è stato successivamente rivisitato, limitando la confisca ai soli macchinari. La cautela derivava dal fatto che il provvedimento avrebbe interessato anche persone verosimilmente estranee al reato, cioè i proprietari dei capannoni in cui gli affittuari svolgono lavori illeciti senza rispetto delle regole. In sede di conversione questa scelta è rimasta inalterata e non sono state accolte altre ipotesi formulate, come quella di prevedere una prima diffida al proprietario dell’immobile e solo in caso di recidiva la confisca.
La norma, che consente di procedere direttamente a confisca e quindi all’acquisizione allo Stato dei macchinari, è – almeno sul piano teorico – in grado di creare un effetto dissuasivo ancora più efficace, anche se sul piano pratico le ipotesi di confisca, viste le condizioni richieste (violazioni gravi o reiterate, in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro) sono di gran lunga meno ricorrenti di quelle del sequestro (il rapporto è di poche decine a fronte di alcune migliaia).
Sul piano penale, l’attivazione del sequestro preventivo degli immobili a fronte di abusi edilizi e di utilizzo promiscuo delle strutture si rivela conferente nella misura in cui al dissequestro penale consegue l’immediata e contestuale ordinanza comunale di inagibilità e sgombero dell’immobile. Questo meccanismo tangibilmente concorre a scongiurare il protrarsi delle condotte illecite.
Tra gli altri possibili rimedi, che l’ordinamento struttura su base penale, amministrativa e civile, basti pensare alle violazioni della normativa in materia di adempimenti contributivi a carico del datore di lavoro, che produce una duplice responsabilità, verso l’ente previdenziale e nei confronti del datore di lavoro. Il concorso nell’attività di controllo da parte dell’Inps, dell’Inail e della direzione territoriale del lavoro permette di attivare accertamenti per contributi e premi evasi di impatto economico rilevante.
Analogo margine di efficacia si registra per i controlli sulla regolarità nello smaltimento dei rifiuti, per gli accertamenti dell’Agenzia dell’Entrate sulla corretta osservanza della normativa contabile e fiscale e per le verifiche dell’Asl in ordine all’uso improprio dei locali ed alle violazioni accertate ai sensi del d.lgs n.81 del 2008.
Le violazioni penali e amministrative ricorrenti
Nel corso dei controlli possono essere rilevate infrazioni specifiche e ricorrenti da parte delle singole articolazioni istituzionali che partecipano all’attività di verifica.
L’Inps, in particolare, riscontra con una certa frequenza le violazioni di omessa, infedele o tardiva registrazione sul Libro Unico del Lavoro (art.39 co.7 della legge n.133 del 2008) e di impiego di lavoratori in carenza di assicurazione (art.4 della legge n.183 del 2010).
La nuova disciplina sul LUL ha non solo semplificato la gestione amministrativa delle prestazioni lavorative (sostituendo e accorpando i vecchi libri matricola, paga e presenze), ma ha anche razionalizzato i relativi profili sanzionatori, non più incentrati su violazioni di carattere formale, bensì su condotte illecite che comportino inadempimenti di carattere retributivo, fiscale, previdenziale ed assicurativo. Si pensi che durante il vecchio regime del libro matricola e paga, la mancata istituzione o esibizione degli stessi era punita con una sanzione che andava da € 4000 a € 12.000 e che la violazione delle omesse ed infedeli registrazioni era moltiplicata per il numero dei lavoratori interessati.
La previsione sanzionatoria, sebbene abbia notevolmente ridimensionato gli importi delle sanzioni e le abbia correttamente ancorate ad effettive minacce alle garanzie dei lavoratori, presenta non poche criticità sia di ordine letterale che sistematico. Sotto il primo profilo, infatti, potrebbe non risultare agevole distinguere concretamente le omesse dalle infedeli registrazioni, dal momento che entrambe si concretano nella elaborazione di un LUL con dati non veritieri. Tale questione assume una importanza decisiva ai fini dell’applicabilità dell’istituto premiale della diffida obbligatoria e quindi dell’ammissione alla sanzione in misura minima.
Sotto il profilo sistematico, la violazione in parola presenta notevoli criticità in ordine alla compatibilità con altre sanzioni previste in materia di lavoro e legislazione sociale, come ad esempio quella inerente la consegna al lavoratore di buste paga con dati inesatti o infedeli.
L’art.39 co.7 della legge n.133 del 2008 recita “Salvo i casi di errore meramente materiale, l’omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1 e 2 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. La violazione dell’obbligo di cui al comma 3 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione per il termine previsto dal decreto di cui al comma 4 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n.689 è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente”.
L’illecito delle omesse o infedeli registrazioni rappresenta l’esempio più eclatante dell’ottica sostanzialista che ha invaso l’intero apparato sanzionatorio in materia di LUL. L’art.39 co.7 esordisce con l’inciso “salvi i casi di errore meramente materiale”, escludendo, così, dall’alveo sanzionatorio tutte quelle registrazione che, sebbene inesatte, siano il frutto di un errore di calcolo o di scrittura.
Tra gli errori scusabili il Ministero del Lavoro, nel Vademecum del 5 dicembre 2008, include anche le ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia aggiornato i dati retributivi del mese di riferimento a causa di:
– incertezze interpretative su modifiche legislative, amministrative e contrattuali;
– ritardi nella diffusione del testo del rinnovo contrattuale;
– difficoltà ad individuare correttamente la natura delle prestazioni di lavoro rese (ad esempio, inquadramento degli straordinari giornalieri e settimanali).
La stessa norma subordina la punibilità all’ipotesi in cui tali condotte determinino delle omissioni di carattere retributivo, previdenziale o fiscale; pertanto non saranno inquadrabili in tale contesto sanzionatorio quelle irregolarità che riguardano la numerazione unica o quella sequenziale, nonché ogni altra inesattezza che non intacchi l’integrità dell’imponibile retributivo.
Va osservato che tale impostazione ribalta completamente il vecchio regime sanzionatorio in materia di libri matricola e paga, dove l’art.116, comma 12, della legge n.388 del 2000, prevedeva l’abolizione delle violazioni (di carattere formale) dalle quali scaturissero delle omissioni di carattere contributivo o assicurativo. Tornando al tenore letterale della norma in esame, va osservato come la stessa, con la congiunzione “o”, descrive una fattispecie a condotta alternativa; pertanto, quando la singola scritturazione contiene sia un dato infedele che omesso, potrà essere contestata solo una violazione. Lo stesso Ministero del Lavoro, nella circolare n.22 del 2008, chiarisce che le omesse o infedeli registrazioni non sono riferibili ai singoli dati, ma alla scritturazione complessivamente considerata. La scritturazione e quindi la condotta illecita va riferita, da un punto di vista temporale, ad ogni singolo mese e quindi saranno contestati tanti illeciti quanti sono i mesi interessati dalle registrazioni omesse o infedeli.
Tuttavia, in tali casi, il trasgressore può chiedere in sede di scritti difensivi di cui all’art.14 della legge n.689 del 1981, lo speciale trattamento sanzionatorio comportante il cumulo giuridico delle stesse, ovvero, l’applicazione della sanzioni più grave aumentata fino al triplo. Uguale trattamento potrebbe essere applicato nell’ipotesi in cui il datore di lavoro adempia all’obbligo di consegna della busta paga (di cui alla legge n.4 del 1953), utilizzando una copia del LUL. In tal caso, l’illecito della consegna al dipendente di una busta paga con dati inesatti potrebbe importare già la violazione delle omesse o infedeli apposizioni sul LUL.
In altre parole, il datore di lavoro potrebbe invocare l’istituto della continuazione dell’illecito di cui all’art.8 co.2 della legge n.689 del 1981, secondo cui soggiace al trattamento di cui sopra “chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno posto in essere in violazione di norme che stabiliscono sanzioni amministrative, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse norme di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie”. Sembra alquanto chiaro che le due condotte (elaborazione infedele del LUL e consegna dello stesso al lavoratore), sono unite dal comune disegno di minare l’integrità del trattamento retributivo e contributivo dovuto.
Non sembra invocabile, invece, l’istituto del concorso formale eterogeneo (richiamato dal co.1 del medesimo articolo), in quanto la due violazioni si concretano in due condotte distinte e non sempre contestuali. La sanzione amministrativa prevista viene modulata in base al numero dei lavoratori, per cui:
– fino a 10 dipendenti, l’importo sanzionatorio va da € 150 ad € 1500, che ridotta ammonta a € 300;
– da 11 dipendenti in su, va da € 500 ad € 3.000, che ridotta ammonta ad € 1.000.
Il Ministero del Lavoro, nella circolare n.20 del 2008, chiarisce che nel computo dei lavoratori, andranno considerati:
– tutti i dipendenti a prescindere dall’orario di lavoro osservato,
– tutti i collaboratori coordinati e continuativi,
– gli associati in partecipazione,
– i lavoratori in nero che non compaiono su alcuna scritturazione.
Chiaramente tale calcolo andrà elaborato per ogni singolo mese cui si riferisce la violazione.
Riguardo alla possibile applicazione della diffida obbligatoria con ammissione al pagamento della sanzione minima, occorre distinguere a seconda che la condotta illecita abbia integrato una omissione o una infedele registrazione. Solo, infatti, nel primo caso sarà applicabile l’istituto premiale di cui all’art.13 del d.lgs. n.124 del 2004, in quanto la violazione è materialmente sanabile con un comportamento attivo del trasgressore.
Nel secondo caso, invece, il bene giuridico della integrità dell’imponibile retributivo e contributivo, risulterà definitivamente compromesso dalle apposizioni infedeli effettuate dal datore di lavoro. A volte, tuttavia, distinguere le due fattispecie potrebbe essere non agevole poiché anche le condotte omissive determinano l’elaborazione di un LUL con dati non rispondenti al vero. Conseguentemente, anche l’applicazione della diffida, decisiva ai fini della legittimità delle contestazioni delle sanzioni in quanto condizione di procedibilità, non appare di facile soluzione.
Vista la delicatezza della questione, il Ministero del Lavoro nel Vademecum del 5 dicembre 2008 chiarisce che “le registrazioni sono da intendersi infedeli quando il dato registrato risulta gravemente non veritiero.(…). Pertanto a titolo di esempio, non saranno considerate infedeli registrazioni, ma registrazioni parzialmente omesse, gli straordinari registrati in modo incompleto e difforme dal vero”.
Anche se tale chiarimento sembra improntare la differenza fra le due violazioni sulla gravità della infedeltà, non può non farsi riferimento soprattutto ad un criterio ontologico. Qualora, infatti, si guardasse solo alla gravità della violazione di dovrebbe, paradossalmente, valutare come infedele anche la completa omissione dei dati di un lavoratore in nero. Invece, non si può non prendere in considerazione un criterio ontologico, che s’incentri sulla condotta che ha dato vita a quella scritturazione non veritiera.
Riprendendo l’esempio del Ministero del Lavoro, potranno essere considerate omesse, non solo gli straordinari parzialmente omessi, ma anche quelli totalmente omessi, in quanto la scritturazione non veritiera è scaturita dalla mancata apposizione del dato relativo agli straordinari. Diversamente, sarebbero da considerarsi infedeli, quelle registrazioni che tendano a camuffare altre voci retributive, come ad es. l’apposizione fittizia di rimborsi o indennità a titolo di trasferte, in realtà, mai effettuate.
L’Inail riscontra a carico della ditta controllata situazioni generalmente riconducibili:
• ad occupazione irregolare di lavoratori (art.3 co.3 d.l. n.12 del 2002, convertito con modificazioni dalla legge n.73 del 2002, come modificato dall’art.4 co.1 della legge n.183 del 2010), con ammissione al pagamento in misura ridotta di euro 1537,50 per ciascun lavoratore non in regola;
• ad omessa consegna al lavoratore, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, di copia della comunicazione di assunzione o del contratto di lavoro, contenente le informazioni previste dal d.lgs. n.152 del 1997 riguardanti i dipendenti, (art.4 bis co.2 del d.lgs. n.181 del 2000, come inserito dall’art.6 co.1 del d.lgs. n.297 del 2002 e modificato dall’art.40 co.2 del d.l. n.112 del 2008, convertito dalla legge n.133 del 2008) con ammissione al pagamento in misura ridotta di euro 250,00 per ciascun lavoratore non in regola;
• a mancato o ritardato pagamento dei contributi o premi (art.116 co.8 lett.a della legge n.388 del 2000), con sanzione in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorata di 5,5 punti entro il tetto massimo del 40% dell’importo non corrisposto entro la scadenza di legge. Oltre tale tetto, senza l’avvenuto integrale pagamento, scattano gli interessi di mora;
• ad omesse od infedeli registrazioni e/o denunce obbligatorie (art.116 co.8 lett.b della legge n.388 del 2000), con sanzione in ragione d’anno, pari al 30% entro il entro il tetto massimo del 60% dell’importo non corrisposto entro le scadenze di legge. Oltre tale tetto, senza l’avvenuto integrale pagamento, scattano gli interessi di mora;
• a mancato o ritardato pagamento dei contributi o premi derivanti da incertezze oggettive connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo, successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa, sempreché il versamento dei contributi sia effettuato entro il termine fissato dagli enti impositori (art.116 co.10 della legge n.388 del 2000), con sanzione in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorata di 5,5 punti entro il tetto massimo del 40% dell’importo non corrisposto entro la scadenza di legge.
L’attività ispettiva viene svolta ad ampio raggio su tutta la documentazione presente (LUL, comunicazioni obbligatorie di instaurazione del rapporto di lavoro, comunicazioni obbligatorie di cessazione del rapporto di lavoro, prospetti di paga, ricevute di contributi mod. F24, mod. DM10 o DURC, denunce INAIL, registro infortuni, ecc.)
Ai sensi dell’art.14 d.lgs. n.124 del 2004 (Disposizioni del personale ispettivo):
1. Le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive.
2. Contro le disposizioni di cui al comma 1 è ammesso ricorso, entro quindici giorni, al Direttore della direzione provinciale del lavoro, il quale decide entro i successivi quindici giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto. Il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione.
Di particolare impatto è la previsione di cui all’art.36 bis del d.lgs. n.248 del 2006 (Misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro), normalmente applicata dal personale della Direzione territoriale del lavoro:
1. Al fine di garantire la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori nel settore dell’edilizia, nonché al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare ed in attesa dell’adozione di un testo unico in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l’esecuzione dei lavori di cui all’articolo 5, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 14 agosto 1996, n.494, e successive modificazioni, nonché le competenze in tema di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente in materia di salute e sicurezza, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), può adottare il provvedimento di sospensione dei lavori nell’ambito dei cantieri edili qualora riscontri l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati nel cantiere ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni.
I competenti uffici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale informano tempestivamente i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture dell’adozione del provvedimento di sospensione al fine dell’emanazione da parte di questi ultimi di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione, e comunque non superiore a due anni. (…)
2. E’ condizione per la revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 1:
a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
b) l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di reiterate violazioni alla disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni.
E’ comunque fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali e amministrative vigenti.
Di fatto, ove si accerti l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori regolarmente presenti sul luogo di lavoro, ovvero in caso di reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, viene adottato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale ai sensi dell’art.14 co.1 del d.lgs. n.81 del 2008 (come modificato dall’art.11 del d.lgs. n.106 del 3 agosto 2009).
Nella stessa occasione viene rilasciato al legale rappresentante (o, nel caso di sua assenza, ad un dipendente dell’impresa), copia del verbale di primo accesso ispettivo contenente la descrizione delle irregolarità accertate in azienda.
Una volta definiti gli accertamenti, ossia dopo aver compiutamente visionato la documentazione di lavoro esibita dall’azienda, viene rilasciato il verbale unico di accertamento e notificazione, contenente, oltre agli esiti dettagliati dell’accertamento, la contestazione delle violazioni accertate, gli importi da pagare, gli strumenti di tutela, gli importi dei contributi evasi.
Le più frequenti ipotesi di illecito amministrativo accertate in occasione delle verifiche da parte della D.T.L. sono le seguenti:
• art.3 co.3 del d.l. 13 febbraio 2002, n.12, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2002, n.73, come sostituito dall’art.4 co.1 della legge 4 novembre 2010 n.183 (maxisanzione);
• art.4 bis, co.2 d.lgs. 21 aprile 2000, n.181, come modificato dall’art.6, co.1 d.lgs. 19 dicembre 2002, n.297 (lettera di assunzione);
• art.39, co.1 d.l. n.112 del 25 giugno 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n.133 (LUL);
• artt.1 e 5 della legge. n.4 del 1953 (prospetti paga).
L’Agenzia delle Entrate esegue accessi, verifiche e ispezioni ai sensi degli artt.32 e 33 del D.P.R. n.600 del 1973 e degli artt.51 e 52 del D.P.R. n.633 del 1972.
Si riporta il testo dell’art.52 D.P.R. n.633 del 1972 (Accessi, ispezioni, verifiche) come modificato dall’art.23 decreto-legge del 06 luglio 2011 n.98):
Gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.
L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.
E’ in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale.
L’ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito, o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti locali.
I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione.Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia.
I documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibile riprodurne o farne constare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale. I libri e i registri non possono essere sequestrati; gli organi procedenti possono eseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano la propria firma o sigla insieme con la data e il bollo d’ufficio e possono adottare le cautele atte ad impedire l’alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri.
Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche per l’esecuzione di verifiche e di ricerche relative a merci o altri beni viaggianti su autoveicoli e natanti adibiti al trasporto per conto di terzi.
In deroga alle disposizioni del settimo comma gli impiegati che procedono all’accesso nei locali di soggetti che si avvalgono di sistemi meccanografici, elettronici e simili, hanno facoltà di provvedere con mezzi propri all’elaborazione dei supporti fuori dei locali stessi qualora il contribuente non consenta l’utilizzazione dei propri impianti e del proprio personale.
Se il contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse si trovano presso altri soggetti deve esibire una attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso. Se l’attestazione non è esibita e se il soggetto che l’ha rilasciata si oppone all’accesso o non esibisce in tutto o in parte le scritture si applicano le disposizioni del quinto comma.
Per l’esecuzione degli accessi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti indicati al n.5) dell’articolo 51 e presso gli operatori finanziari di cui al 7) dello stesso articolo 51, si applicano le disposizioni del secondo e sesto comma dell’articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.
Al momento dell’accesso il personale, munito di apposita autorizzazione, non opera contestazioni ma rileva la situazione di fatto e chiede l’esibizione della documentazione contabile che deve essere presente in ditta o in altra località autorizzata (in questo secondo caso deve essere presente un’attestazione ai sensi dell’art.52 co.10 del D.P.R. n.633 del 1972).
Dal successivo controllo del materiale cartaceo (laddove presente) emerge spesso un’irregolare tenuta della contabilità (art.14 ss. D.P.R. n.600 del 1973), che permette di applicare la norma sanzionatoria di cui all’art.9 co.1 del D.P.R. n.471 del 1997 (violazione degli obblighi relativi alla contabilità) e consente di accertare il maggior reddito secondo le norme del D.P.R. n.600 del 1973. In particolare, ove ricorrano le condizioni di cui all’art.39 co.2 del D.P.R. n.600 del 1973, l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti.
Tale accertamento induttivo è praticabile:
• quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
• quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art.33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più scritture contabili prescritte dall’art.14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
• quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
La polizia provinciale interviene in occasione di controlli a stamperie e tintorie e accerta per lo più violazioni in materia ambientale riconducibili alle previsioni del d.lgs. 3 aprile 2006 n.152 (artt.255, 256 e 258), tra cui si segnala l’ipotesi dell’abbandono di rifiuti.
Anche l’attività del Corpo Forestale dello Stato si concentra sugli illeciti ambientali, segnatamente connessi allo smaltimento dei rifiuti derivanti dal ciclo produttivo della ditta oggetto di controllo.
Particolarmente ricorrente, in tale ambito, è la violazione relativa alla mancata tenuta del registro di carico e scarico rifiuti (art.190 d.lgs. n.152 del 2006). La sanzione per tale violazione è di natura amministrativa ed è prevista dall’art.258.
L’Azienda Autonoma territorialmente competente per la riscossione della tariffa di igiene ambientale partecipa alle attività di fatto rilevando l’inizio, la prosecuzione dell’occupazione e conduzione locale ed aree ai sensi dell’art.49 d.lgs. n.22 del 1997 e del D.P.R. n.158 del 1999. Ciò permette di assicurare l’emersione di soggetti tenuti al pagamento della T.I.A.
Le verifiche promosse dal personale specializzato in “Prevenzione igiene e sicurezza sul lavoro” (Pissl) dell’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, così come dal personale del Vigili del Fuoco, riguardano la corretta applicazione delle disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (art.14 d.lgs. n.81 del 2008), che “al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare” consentono l’adozione di provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni:
1. quando si accerta l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro,
2. nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, adottato sentito il Ministero dell’interno e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale sono quelle individuate nell’Allegato I.
Non costituisce più presupposto per la sospensione dell’attività la reiterazione delle violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale” in riferimento agli artt.4, 7 e 9 del d.lgs. n. 66 del 8 aprile 2003.
Allegato I
Gravi violazioni ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale
Violazioni che espongono a rischi di carattere generale:
– Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi;
– Mancata elaborazione del piano di Emergenza ed evacuazione;
– Mancata formazione ed addestramento;
– Mancata costituzione del S.P.P. e nomina del relativo responsabile;
– Mancata elaborazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC)
– Mancata elaborazione del piano operativo di sicurezza (POS);
– Mancata nomina del coordinatore per la progettazione
– Mancata nomina del coordinatore per l’esecuzione
Violazioni che espongono al rischio di caduta dall’alto:
– Mancato utilizzo della cintura di sicurezza;
– Mancanza di protezioni verso il vuoto
Violazioni che espongono al rischio di seppellimento:
– Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno.
Violazioni che espongono al rischio di elettrocuzione:
– Lavori in prossimità di linee elettriche;
– Presenza di conduttori nudi in tensione;
– Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale).
Violazioni che espongono al rischio d’amianto:
– Mancata notifica all’organo di vigilanza prima dell’inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.
Si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell’organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole. Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate nell’allegato I, in attesa della adozione del decreto interministeriale.
L’adozione del provvedimento di sospensione è comunicata all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all’art.6 del d.lgs. 12 aprile 2006 n.163, ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell’adozione, da parte del citato Ministero, di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche.
La durata del provvedimento è pari alla citata sospensione nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia inferiore al 50 % del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro; nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia pari o superiore al 50 % del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ovvero nei casi di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ovvero nei casi di reiterazione la durata è incrementata di un ulteriore periodo di tempo pari al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni; nel caso di reiterazione la decorrenza del periodo di interdizione è successiva al termine del precedente periodo di interdizione; nel caso di non intervenuta revoca del provvedimento di sospensione entro quattro mesi dalla data della sua emissione, la durata del provvedimento è pari a due anni, fatta salva l’adozione di eventuali successivi provvedimenti di rideterminazione della durata dell’interdizione a seguito dell’acquisizione della revoca della sospensione.
Le suddette disposizioni si applicano anche con riferimento ai lavori nell’ambito dei cantieri edili.
Ai citati provvedimenti non si applicano, invece, le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990 n.241.
Limitatamente alla sospensione dell’attività di impresa, all’accertamento delle violazioni in materia di prevenzione incendi provvede il comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente.
Ove gli organi di vigilanza o le altre amministrazioni pubbliche rilevino possibili violazioni in materia di prevenzione incendi, ne danno segnalazione al competente Comando provinciale dei vigili del fuoco.
I poteri e gli obblighi in esame spettano anche agli organi di vigilanza delle aziende sanitarie locali, con riferimento all’accertamento della reiterazione delle violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro di cui all’art.14 co.1 d.lgs. n.81 del 2008.
Il provvedimento di sospensione può essere revocato da parte dell’organo di vigilanza che lo ha adottato.
È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell’organo di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche:
• la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria
• l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
• il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a quelle di cui al comma 6 pari a 1.500 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e a 2.500 euro nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell’organo di vigilanza delle aziende sanitarie locali:
• l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni delle disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
• il pagamento di una somma aggiuntiva unica pari a euro 2500 rispetto a quelle di cui al comma 6.
È comunque fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti. L’importo delle somme aggiuntive integra:
• la dotazione del Fondo per l’occupazione ed è destinato al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare individuati con decreto del Ministro del lavoro;
• l’apposito capitolo regionale per finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Avverso i provvedimenti di sospensione è ammesso ricorso, entro 30 giorni, rispettivamente, alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente e al presidente della Giunta regionale, i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine il provvedimento di sospensione perde efficacia.
Il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione è punito con l’arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
Il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l’unico occupato dall’impresa. In ogni caso di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi.
L’Unità funzionale di igiene e sanità pubblica dell’A.S.L. opera interventi in base a leggi regionali e valuta carenze e rischi igienico-sanitari che possono causare danni alla salute o provocare la diffusione di malattie infettive in seguito ad utilizzo improprio di locali ed edifici produttivi, commerciali o anche residenziali.
Tali valutazioni risultano funzionali anche per l’operato della Polizia Municipale, in quanto corroborano l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa di settore in caso di riscontrati abusi e/o difformità edilizie.
La fonte normativa di base è costituita dal Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934 (art.222, che permette di dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche o ordinarne lo sgombero), utilmente coniugata in relazione ai contenuti del regolamento comunale di igiene Riscontrate le carenze igieniche viene proposta al Sindaco, quale Autorità Sanitaria Locale, l’emissione di un’ordinanza di non idoneità abitativa e di adeguamento, tenuto conto della legge regionale di riferimento.
La Polizia Municipale ha un ruolo particolarmente qualificato nello svolgimento dei servizi di controllo alle attività produttive e commerciali, in ragione delle competenze in materia di polizia giudiziaria e di polizia amministrativa.
Sotto il profilo delle comunicazioni di notizia di reato, si evidenziano le seguenti fattispecie illecite più ricorrenti:
– Ristrutturazione edilizia in assenza di titolo, con realizzazione di superficie abitativa con cambio di destinazione d’uso dell’immobile da produttivo ad abitativo (art.44 lett.b del DPR n.380 del 2001);
– Cambio di destinazione d’uso dell’immobile da produttivo ad abitativo, senza opere (art.44 lett.a del DPR n.380 del 2001);
– Realizzazione di soppalco in metallo in assenza di progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato e in assenza della direzione lavori (art.110 e 71 D.P.R. n.308 del 2001);
– Datore di lavoro che non metteva a disposizione degli addetti alle lavorazioni locali conformi ai requisiti di cui all’allegato IV del d.lgs. n.81 del 2008 e in particolare non rispondenti alle disposizioni di cui ai punti 1.1. stabilità e solidità; 1.4 vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi; 1.5 vie e uscite di emergenza; 1.6 porte e portoni; 1.7 scale; 1.8 posti di lavoro e di passaggio; 1.9 microclima; 1.10 illuminazione naturale e artificiale; 1.11 locali di riposo e refezione; 1.13 servizi igienico-assistenziali; 1.14 dormitori; 2.1 difesa dalle sostanze nocive; 2.2. difesa contro le polveri (art.63 punto 1, 64 e 68 co.1 lett.b del d.lgs. n.81 del 2008);
– Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro (art.451 c.p.: chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103,29 a euro 516,46).
Dalle violazioni penali in argomento scaturisce il sequestro preventivo dell’immobile disposto ai sensi del codice di procedura penale, cui normalmente fa seguito l’ordinanza sindacale di inagibilità dell’immobile fino ad avvenuto e documentato ripristino di tutte le condizioni di sicurezza.
Per quanto concerne le violazioni amministrative si segnalano, ove lo specifico regolamento comunale lo preveda:
– azionamento macchinari in assenza di titolo;
– azionamento macchinari con uso promiscuo abitativo e produttivo;
– utilizzo dell’immobile in assenza di attestazione di agibilità (art.24 D.P.R. n.380 del 2001).
Dalle violazioni amministrative in argomento scaturisce il sequestro dei macchinari che possono essere dissequestrati solo con l’avvenuto ripristino delle condizioni di sicurezza, previo pagamento delle spese processuali per il dissequestro.
Le Forze di Polizia a competenza nazionale (Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri) accertano le seguenti fattispecie illecite ai sensi del d.lgs. 286/1998:
– art.6 co.3: inottemperanza all’ordine di esibizione del documento di identificazione
– art.12: favorire l’ingresso o la permanenza dello straniero in violazioni delle disposizioni del T.U. Imm.
– art.13 co.13: trasgressione al divieto di reingresso
– art.14 co.5: permanenza illegale in violazione dell’ordine del questore
– art. 22 co.12: sfruttamento della manodopera clandestina
– art.10 bis: reato di clandestinità.